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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Dieudonné e l'arte dei numeri

La mia recente visita a Parigi ha riacceso in me l'antica passione per la letteratura matematica. Non volendo recensire libri eccessivamente tecnici e specializzati, oggi parleremo di questo volume del celebre matematico francese Jean Dieudonné.


Membro di rilievo del collettivo Bourbaki, quest'uomo dal fisico imponente e dall'eloquio affascinante (suggerisco di ascoltare l'intervista rilasciata in occasione della prima edizione francese del libro a questo indirizzo) è noto in larga misura per il suo trattato di matematica in tanti volumi. Per poter inquadrare  la recensione dell'Arte dei Numeri, sono opportune alcune considerazioni preliminari.

Innanzitutto, la scuola matematica francese è stata una delle più attive e originali della modernità. A partire da L.A. Cauchy, P. Fermat, L. Lagrange, possiamo affermare che le idee più feconde per la matematica contemporanea sono state sviluppate in Francia. Dopo aver regalato all'umanità il genio Gauss, la scuola tedesca ha subito un forte rallentamento, scavalcata ad occidente dai Lumi. Dall'algebra all'analisi, una larga parte della matematica che insegniamo nei primi anni di studio nelle università occidentali è eredità soprattutto della scuola francese. E i francesi non sono mai stati capaci di essere molto modesti.

In secondo luogo, l'insegnamento della matematica in Francia è sempre stato molto centralizzato. Programmi da seguire e contenuti conformi alla disciplina pedagogica hanno prodotto opere editoriali definitive: ancora oggi è possibile reperire qualche cours de mathématiques speciales, che possiamo descrivere come una raccolta in più volumi di tutta la matematica essenziale per poter diventare un matematico di professione (o anche solo un insegnante). Questo genere di opera non ha paragoni nell'editoria italiana, e ancora meno in quella anglosassone.
Anzi, potremmo forse spingerci a dire che l'editoria specializzata italiana si è vieppiù appiattita sugli standard americani: manuali piuttosto concreti e finalizzati alla risoluzione di esercizi un po' ripetitivi. Il pragmatismo statunitense, come lo stesso Dieudonné osserva nel libro, non si concilia con la ricerca dell'astrazione e della generalizzazione, così "eterea" e distante dalla realtà. Personalmente credo che questa convinzione pedagogica sia scorretta e fuorviante, ma è difficile lottare contro i mulini a vento.

Ora che sappiamo qualcosa in più delle abitudini francesi riguardanti lo studio e la visione della matematica accademica, risulta agevole collocare il libro di Dieudonné nel suo contesto storico. Innanzitutto, l'Arte dei Numeri (pessima traduzione del titolo originale Pour l'honneur de l'esprit humain) non è un libro di divulgazione come quelli sfornati a ripetizioni dagli editori inglesi e americani. Non troverete la solita sequela di giochi e curiosità che dovrebbero farvi appassionare alla matematica, e non troverete nemmeno aneddoti pettegoli sulla vita di qualche scienziato famoso.

Il libro è - o forse era - una descrizione dello stato dell'arte nel campo della ricerca matematica. Nel 1985, anno che l'autore ha considerato come il confine del proprio interesse per la stesura del volume, i matematici avevano una consapevolezza generale della matematica viva, ed è di questo che lo studioso ci parla. Certo, sicuramente si tratta di una narrazione influenzata dalla propria visione delle cose, pesantemente bourbakista; ma quale scienziato saprebbe descrivere il proprio settore di ricerca senza concedere qualcosa al gusto personale?

Ne esce, trascurando alcune pagine davvero troppo complicate per un lettore medio, un messaggio che forse dovrebbe essere recuperato. La matematica, insiste Jean Dieudonné, non è uno scaffale di prodotti indipendenti e scollegati. Al contrario, ciò che ha trasformato i calcoli algebrici quasi mistici degli antichi in una disciplina scientifica di primo piano è stata esattamente la consapevolezza che esiste, al fondo, una sola matematica. Nonostante il plurale grammaticale francese (les mathématiques), la matematica non è plurale: non esiste analisi matematica senza algebra e topologia, non esiste algebra senza geometria. Il contrario, ahimè, di quello che adesso sta diventando il diktat pedagogico nelle nostre università: corsi brevi, esami da preparare quasi dimenticando i precedenti e ignorando i successivi, in un perenne presente.

Faccio un esempio, e invito i lettori annoiati ad omettere questa parte del mio post. Prendiamo l'insegnamento dell'analisi matematica e del calcolo (scrivo in corsivo, perché mi riferisco alla disciplina del calcolo differenziale ed integrale, non già all'arte di fare addizioni e sottrazioni). Come spieghiamo i limiti, la derivata, l'integrale ai nostri allievi? Quasi sicuramente come la insegnava Cauchy: a spanne. Limiti raccontati con espressioni vaghe che vorrebbero essere illuminanti, concetti enunciati in un contesto restrittivo e inutilmente sovrabbondante (il famigerato asse reale), risultati generali dimostrati senza alcuna lungimiranza. Tutto ciò è curiosamente retrogrado.

Qualunque matematico sa che il 90% dei contenuti di un primo corso di analisi matematica è sostanzialmente un'applicazione della Topologia Generale. Dopo averli costruiti (qui serve un po' di algebra), i numeri reali non sono semidei: sono un esempio di spazio normato. I limiti, la continuità, la derivata: tutte teorie che possono essere ben inquadrate nel contesto degli spazi normati (se non metrici), ottenendo fin dal principio una visione meno miope dell'analisi fondamentale. Perché poi bisogna pure arrivare alle funzioni di più variabili, e le dimostrazioni ottocentesche non bastano più. Ma la fatica di insegnare ed imparare è raddoppiata, se al primo anno fingiamo che gli ultimi centocinquat'anni non siano mai trascorsi.

Perché noi docenti ci comportiamo in questo modo? Non ho la risposta definitiva: forse perché siamo un po' pigri, e spazzare via una tradizione decennale di insegnamento costa sforzi e fatiche. Il conservatorismo vive ovunque, non solo in politica.

Concludendo, qualcuno ha detto che la rivoluzione del collettivo Bourbaki ha fallito. Nel mondo accademico gode di ottima salute la metodologia anglosassone: anni di calcoli senza alzare lo sguardo dal foglio, e approfondimento destinato ai pochi prescelti che arriveranno al dottorato di ricerca. Nel 1985, quasi trentacinque anni fa, Dieudonné credeva fortemente nell'unità del pensiero matematico. Ci crediamo ancora, oggi?

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