Pete Snow fa l'assistente sociale nello stato del Montana. A pensarci bene, più che ad assistere dovrebbe badare ad essere assistito, perché nemmeno la sua situazione è particolarmente confortante. Eppure ci mette impegno, viaggia attraverso le vallate coperte di neve e battute dal vento gelido, porta cibo e vestiti alle famiglie più problematiche. La sua famiglia va in pezzi, la moglie decide di andare in Texas con l'unica figlia di quattordici anni. Ma poi Pete si imbatte in Jeremiah Pearl e nel piccolo Benjamin, che vivono come prede braccate nel profondo della foresta.
Pearl è un uomo strano, probabilmente un fanatico: scava buchi nelle monetine e le distribuisce finché non diventano quasi un oggetto da collezione. Però ha paura del governo, crede che la fine del mondo sia vicina, si sente l'ultimo baluardo inviato da Dio sulla Terra per contrastare il trionfo di Satana. Pete riesce ad avvicinarsi al piccolo Ben, che manifesta evidenti sintomi di disagio per la vita che il padre gli impone; dopo molti tentativi, Snow può addirittura trascorrere qualche ora insieme ai due vagabondi, e stabilisce un contatto con il bambino.
Ma nel frattempo la figlia di Pete scappa dalla casa della madre, e inizia un viaggio nel degrado che la porta velocemente alla prostituzione, sotto il controllo di un protettore appena più grande di lei. Attraversa alcuni Stati dell'Ovest, dalla California fino a Seattle: Pete e la madre non riescono a tenere il passo della sua fuga, mentre le autorità si rimpallano l'onere di rintracciare la ragazzina.
Sono questi gli ingredienti del romanzo d'esordio di
Smith Henderson, già copywriter e attualmente sceneggiatore per la televisione americana. Un libro di più di 500 pagine, che anche un pigro come me ha chiuso in pochi giorni. Lo stile "televisivo" si percepisce in ogni capitolo, talvolta sembra di essere già davanti ad uno schermo. La trama è molto statunitense: l'ossessione del controllo governativo, il fanatismo religioso, la precarietà della famiglia e dell'esistenza delle regioni rurali, il degrado fisico e morale nella metropoli. Tutto fa brodo, anche se alla fine riesce fin troppo salato.
Il gioco del giudizio morale sugli eventi funziona fino ad un certo punto: Jeremiah Pearl passa da "povero Cristo" a carnefice e ancora a vittima con una semplicità di maniera, adatta appunto più alla sceneggiatura di un film che ad un romanzo. Il
leitmotiv della polizia violenta e degli agenti federali doppiogiochisti inizia a stancare, e negli ultimi capitoli ho provato una certa impazienza di arrivare in fondo.
Nel complesso, si tratta di una lettura di svago molto piacevole, ma senza ambizioni di essere più di questo: uno svago.
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