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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Non mi sono immatricolato perché ero impegnato a divertirmi

Il titolo di questo post vi sembra assurdo! Non troppo, se riassume il contenuto di un post che una giovane risorsa di questo Paese ha pubblicato recentemente in un gruppo di studenti di ingegneria su Facebook. In buona sostanza, la ragazza si è divertita così tanto che le sono sfuggiti i termini di immatricolazione a ingegneria. Dunque ella pensava di immatricolarsi a matematica, per fare il “salto della quaglia” al secondo anno.

Inutile dire che, a fronte di alcuni suggerimenti maturi, sono piovuti gli incoraggiamenti. Spiegherò in poche parole perché queste persone producono solo danni, e forse potrebbero cercare un futuro in qualche ambiente professionale. O in qualche Accademia militare, dove imparerebbero un minimo di disciplina.

Per prima cosa, uno studente che si dimentica di iscriversi all’università probabilmente non è motivato. Se una cosa ti interessa, te ne ricordi. Ma anche ammettendo che perfino i migliori possano sbagliare, il progetto di questa studentessa causerà un danno certo al corso di laurea in matematica. Non tutti sanno che il tasso di abbandono fra il primo ed il secondo anno di studi è un parametro importante nella valutazione delle Università. L’idea ispiratrice, alquanto ingenua, è che gli studenti non riescono a superare gli esami del primo anno perché i docenti non lavorano bene. Uno studente che ha già deciso di sparire dopo un anno, incrementerà il numero degli abbandoni, scaricandone la responsabilità sui docenti che alla fine poco c’entrano.

Non solo la svagatezza passa sotto silenzio, ma gli effetti colpiscono lavoratori estranei alla vicenda. Danni collaterali, per usare un linguaggio bellico. Improbabile, se non impossibile, che questi professori riescano addirittura a far innamorare di un corso di laurea scelto come ripiego, magari come parcheggio in attesa di tempi migliori.

Lo stesso discorso vale, naturalmente per le matricole che si riversano nei corsi di laurea senza numero programmato, dopo aver fallito i test dei corsi preferiti. Troviamo aspiranti medici, biotecnologi, economisti, chimici, tra i banchi di matematica e fisica. Ben poche di queste persone si iscriveranno al secondo anno, offrendo l’immagine di una Università che non sa appassionare i futuri professionisti italiani.

È tempo di provvedere a piazzare cartelli segnaletici, semafori, e magari anche qualche muro, per restituire serietà agli studi superiori. Sono soprattutto gli studenti motivati che innalzano la qualità dei corsi di laurea.

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