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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

La matematica applicata

Un post su Facebook di un collega mi ha spinto a qualche riflessione che condivido qui. Magari non vi interessa, nel qual caso non vi trattengo.

Si parlava di matematica applicata: una nuova start-up cerca un laureato o dottore in matematica. Il settore di competenza è l'algebra computazionale. Cioè: non solo algebra, ma addirittura computazionale!

Scherzi da analista matematico a parte, il mio primo pensiero è che i tempi sono proprio cambiati. Quando ero studente, a metà dei '90 del secolo scorso (no, non nel 1895, spiritosi...), l'algebra mi appariva come una materia rantolante, sul punto di estinguersi. Era anche colpa dei programmi di laurea, che prevedevano un corso generalista di algebra al primo anno, e poi solo corsi facoltativi al quarto anno. Siccome era il ramo della matematica che mi appassionava meno (praticamente preferivo una martellata su un dito, con tutto il rispetto per l'algebra), ai miei occhi l'algebra era una disciplina estinta o comunque marginale.

Allora l'analisi matematica era la disciplina più rivolta alle applicazioni, ed io stesso mi sono dedicato alla ricerca nel campo delle equazioni differenziali non lineari. C'era un mondo aperto di applicazioni alla fisica, all'ingegneria, alla biologia. L'analisi matematica era servita, da decenni o forse da un paio di secoli, a formalizzare il linguaggio empirico della fisica e delle altre discipline sperimentali. Il concetto stesso di applicazione era, nella mente di tanti matematici, collegato con un'equazione come quella di Schroedinger o di Stokes, che sono alla base della Fisica Teorica.

Adesso, a vent'anni di distanza, è tutto cambiato. E' esploso l'interesse per la Probabilità (per inciso, l'altra disciplina che ai miei tempi era anche più Cenerentola dell'algebra, e spesso insegnata agli studenti come una versione semplificata della Teoria della Misura), ma soprattutto la Matematica Discreta (l'orrore, l'orrore!) è assurta a principessa della matematica applicata al mondo del lavoro.
Non è in fondo difficile capirne le ragioni: l'informatica e la tecnologia sono basate quasi esclusivamente su modelli discreti. Basti pensare, parlando molto rozzamente, che i computer gestiscono i numeri reali come numeri razionali, e per di più con limiti superiori sull'ordine di grandezza. In altri termini, tutti i numeri gestiti da un comune personal computer sono numeri razionali appartenenti ad un fissato intervallo.
Inoltre gli algoritmi sono sovente basati su procedimenti ricorsivi discreti, non certo su equazioni differenziali in cui le variabili sono continue.

E fu così che mi ritrovai, senza volerlo, sulla sponda più pura della matematica. Roba da matti.

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