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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Perché i matematici, nel loro piccolo, si inc*** durante una pandemia


 

Frequentando la comunità (o meglio un sottoinsieme della comunità) dei matematici sui social networks, l’atteggiamento più frequente che ho registrato durante questo anno di pandemia è stato soprattutto quello della rabbia. Rabbia associata ai (presunti) comportamenti irrazionali della società e dei suoi membri singoli, che sembrano resistere alle leggi del calcolo delle probabilità.

In questi giorni sto leggendo un interessante saggio intotolato La pandemia dei dati di Antonietta Mira e Armando Massarenti. Si tratta di un testo rivolto al lettore di istruzione medio-alta, diciamo il lettore abituale degli inserti culturali di un qualsiasi quotidiano. Non voglio qui analizzare il rigore della discussione matematica che gli autori dedicano al calcolo delle probabilità nel senso di Bruno de Finetti; ho invece trovato molto interessante il contesto sociologico che smonta completamente le illusioni degli osservatori matematici e - più generalmente - degli scienziati. Riporto sommariamente un paio di esempi.

Il linguaggio conta

Sebbene un matematico possa sorridere di questo fatto, le parole con cui un evento è narrato all’ascoltatore non professionista determina le scelte di quest’ultimo. Confrontiamo le due affermazioni:

(A) comportandosi in un certo modo, due persone su tre si salveranno;

(B) comportandosi nello stesso modo, una persona su tre morirà.

Le due affermazioni si equivalgono, ma esperimenti sociali ripetuti hanno dimostrato che presentare (B) implica un sostanziale rifiuto del comportamento suggerito. Al contrario, presentare (A) spinge la maggioranza a comportarsi nel modo suggerito. Ciò significa che ripetere ossessivamente il fatto (veritiero) che una persona su un milione di vaccinati sviluppa reazioni avverse gravi ostacola seriamente il piano vaccinale di massa. Meglio dire che $999\, 999$ persone su un milione di vaccinati non sviluppa una reazione avversa grave. Ma questa affermazione non merita un titolo in prima pagina, e i mass media preferiscono insistere sulla versione "negativa" dello stesso dato statistico.

Piuttosto che niente, è meglio piuttosto

Radunate due amici, ad esempio Lucia e Federico, e prelevate $100$ euro dal vostro conto. Sedetevi attorno ad un tavolo, e dite a Lucia: questi sono $100$ euro, proponi a Federico una spartizione a tua scelta. Diciamo $n$ euro per Lucia, $100-n$ per Federico. A questo punto viene il turno di Federico: può accettare $100-n$ euro, oppure può rifiutare, e il gioco si conclude restituendo a voi (il cosiddetto banco) l’intera cifra. Se tu, lettore, fossi Federico, che cosa faresti?

Ancora una volta, gli esperimenti sociali hanno dimostrato che Federico è raramente razionale. In teoria, qualunque sia il valore di $n \geq 1$ stabilito da Lucia, Federico dovrebbe accettare: l’alternativa è tornare a casa a mani vuote! In pratica non funziona così.

Se Lucia propone $n=90$, sono empiricamente pochi i Federico che accettano di tenersi $10$ euro. Se invece Lucia sceglie $n=10$, sono empiricamente molti (tutti?) i Federico che intascano $90$ euro e se ne vanno sorridenti.

La spiegazione è fisiologica: l’analisi dell’attività cerebrale ha evidenziato che si attiva immediatamente quella parte del cervello che governa le reazioni istintive associate al concetto di equità, mentre la parte delegata alla razionalità resta a riposo più a lungo. Insomma, Federico pensa subito che Lucia sia un po’ str*** a tenersi $90$ euro, e dimentica che lui stesso guadagnerebbe comunque $10$ euro.

Arrivati a questo punto, è spontaneo andare al meccanismo della contrattazione: forse Federico pensa di tirare sul prezzo, spingendo Lucia verso una spartizione più equa. Questo non è previsto dal gioco, ma non per questo mi sembra un dato trascurabile: anche la riluttanza a seguire rigidamente le regole appartiene al grande gioco sociologico che chiamiamo vita. Ecco allora che ritroviamo quelle persone che, di fronte alla siringa con il vaccino, chiedono se possono scambiarla con una marca diversa: non si può, ma ci provano comunque.

Questi – e molti altri – esperimenti sociali dimostrano che infuriarsi per la mancanza diffusa di razionalità è solo una perdita di tempo. Facciamo un esempio di grande attualità.

Supponete di essere il proprietario di un ristorante ben avviato. Arriva un virus con grande potere di diffusione, e il governo vi propone due alternative:

(A) lasciamo aperto il ristorante, con la certezza pressoché totale che entro poche settimane vi ammalerete. Questo implica una certa probabilità (diciamo il 3%) di morire.

(B) Chiudiamo il ristorante fino al termine dell’emergenza. La probabilità di morire diventerà ben più piccola, ma avete la certezza di patire forti perdite economiche.

Qual è la scelta… razionale? Io non lo so, ma empiricamente i colleghi matematici del web affermano con certezza che (B) sia di gran lunga preferibile. Forse perché pochi matematici gestiscono ristoranti, e dunque la valutazione è influenzata dal bias egoistico. Apparantemente, molti ristoratori puntano apertamente su (A), probabilmente influenzati da un altro bias da manuale: la sicurezza di saper schivare il rischio grazie al proprio comportamento virtuoso, ma soprattutto la speranza di un esito favorevole (salute + ricchezza) contro la certezza di un esito sfavorevole (forse salute, ma sicuramente ricchezza).

Nella realtà il gioco è più complesso, perché la prosperità di un ristorante dipende sensibilmente dal comportamento dei clienti. Se chi cena in un ristorante muore, presto i clienti smetteranno di frequentarlo. Ma così le variabili diventano troppe, ed elaborare un modello matematico è difficilissimo.

La conclusione, sostenuta dalla tesi centrale del libro in oggetto, è che sbagliano certamente i cittadini ignoranti di matematica. Ma sbagliano altrettanto gli scienziati ignoranti di sociologia e dinamica delle popolazioni. L’onestà intellettuale imporrebbe a tutti di tacere in assenza di conoscenze precise; però gli Stati devono anche essere governati, non è possibile che tutti alzino le mani affermando la propria incapacità di decidere. Questo conduce inevitabilmente al cosiddetto trial and error, cioè proviamo ed eventualmente riconosciamo gli errori.

Per gli addetti ai lavori, ho sistematicamente evitato di affrontare un altro nodo gigantesco, quello della cooperazione. Cioè della solidarietà: le mie scelte non seguono una legge di opportunità egoistica, ma altruistica. Per il bene altrui, ogni appestato dovrebbe volontariamente seppellirsi vivo ai primi sintomi. Ma anche senza arrivare a questi estremi, il beneficio complessivo delle vaccinazioni supera di vari ordini di grandezza il danno individuale causato dalle (inevitabili) reazioni avverse. Tutto ciò abbraccia ancora più strettamente la sfera umana e psicologica degli individui, introducendo ulteriori motivi di irrazionalità.

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