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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Meno infinito

 

Leggendo le novità editoriali in tema di (analisi) matematica, mi imbatto nel suggestivo titolo Real analsysi and infinity, edito da Oxford University Press. Nell'introduzione l'autore spiega che la peculiarità del libro consiste nell'attenzione posta al concetto di infinito, un filo conduttore che unisce tutti i temi della matematica moderna.

La faccio breve, e pongo subito la domanda che mi assilla: perché la manualistica universitaria internazionale si apre a queste contaminazioni che oscillano tra la mistica e la superstizione? Sì, forse sto esagerando, ma vorrei evitare di insegnare l'analisi infinitesimale con le categorie di Platone o Aristotele. 

Da un punto di vista molto formale, l'infinito matematico nemmeno esiste. Se esiste, è solo un sostantivo che potrebbe essere sostituito da molti altri. Fate questo gioco: pensate a tutte le volte che avete usato la parola infinito in un senso matematicamente pregnante; adesso sostituite "infinito" con "poldo". Per esempio, i famosi "limiti per $x$ che tende a poldo", o le "somme per $n$ che va da $1$ a poldo".  Che cosa cambia? Beh, proprio niente.

Non cambia niente perché la matematica moderna non è la filosofia antica. Da più di un secolo i matematici hanno smesso di attribuire ai simboli un significato ontologico o escatologico. Ovviamente tutti noi ci divertiamo a stimolare la fantasia degli studenti meno "appassionati" facendo leva sul fraintendimento che la matematica descriva idee filosofiche. Tutti noi abbiamo provato a valorizzare la definizione di limite con i soliti esempi sulle previsioni del futuro remoto: fate tendere $t$ all'infinito, e vedrete che la matematica è come la sfera di cristallo della maga, vi anticiperà il futuro.

Balle. Balle per ragazzini, ma anche balle che ci raccontiamo per non ammettere una ovvietà: la matematica è una disciplina tanto seria quanto la medicina, la fisica e la chimica. Però devono essere rari i docenti di patologia generale che motivano i loro studenti con esempi e linguaggi puerili: se vi iscrivete a medicina, magari la medicina deve piacervi, no? O vi serve il famoso aeroplanino per mangiare la pappa?

Comunque non voglio fare la parte del castigamatti: uno dei compiti di un bravo insegnante è avvicinare, non repellere. Capisco invece meno gli autori di testi specialistici che scrivono seicento pagine sul malinteso che $\infty$ sia più di una mera convenzione di linguaggio, cioè una banale abbreviazione di un concetto definito altrimenti.

Bisognerebbe provare a scrivere un libro sul Calcolo senza Infinito. Un intero corso in cui la parola "infinito" sia bandita, senza tuttavia indebolire la teoria complessiva della materia. Una sorta di laicizzazione della pedagogia matematica, insomma.

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