Breve resoconto delle vacanze in montagna.
Viaggio di andata
Da Cantù, sotto un cielo carico di pioggia, verso Bergamo e l'imbocco dell'autostrada A4. Bomba d'acqua sopra le Orobie, fin verso Brescia, poi la furia meteorologica si placa. Sosta di rito, e arrivo a
Longarone per un pranzo veloce. Pur avendone sentito parlare nei libri di Mauro Corona, non avevo ancora messo piede a Longarone, e la prima impressione non è stata delle migliori. Dopo la tragedia del Vajont (ottobre 1963), l'intera città è stata ricostruita sulle macerie dell'abitato vecchio. Il risultato è un agglomerato di case in cemento armato, fra le quali spicca per bruttezza rara la chiesa. Ecco un'immagine antica
ed eccone una attuale:
Nella piazza dedicata alla memoria dei morti del Vajont, guardiamo con angoscia la spaccatura fra i monti da cui milioni di metri cubi di fango, lanciati a più di 100 chilometri all'ora, si sono abbattuti sulla città.
Se vi capita di trovarvi a Longarone all'ora di pranzo, evitate accuratamente la pizzeria al trancio in centro: i problemi di digestione sono assicurati.
Da Longarone, piegando leggermente ad ovest su una strada tutta curve, si risale verso il Cadore.
Selva di Cadore
Ridente comune del bellunese,
Selva di Cadore è il tipico comune omeomorfo ad un segmento: si snoda infatti nell'unica direzione consentita dalle montagne, cioè nel senso della strada principale. Il mio albergo era nella frazione di Pescul, piuttosto distante dal vero centro cittadino. È tuttavia un luogo ameno e quasi da cartolina, con la suggestiva chiesetta di Santa Fosca:
L'affresco è infantile e quasi grottesco, e bisogna attendere la sera per godere del fascino di questo piccolo edificio di culto illuminato dai faretti. A pochi chilometri c'è il borgo di Santa Lucia, che merita una breve sosta:
Ancora una volta la chiesa che si sporge dalla cime del colle, con il piccolo cimitero tradizionale (il classico churchyard) dentro le mura, costituisce l'attrazione principale per il visitatore.
Selva di Cadore è stato il punto di partenze per la bella escursione alla Forcella Formin, lungo il sentiero colorato in verde:
Io mi sono fermato al punto 3, perché il proseguimento è su una traccia di sentiero quasi invisibile su roccia. Niente di difficile, ma mangiare un panino sotto la Croda da Lago era già una soddisfazione considerevole. Il sentiero non presenta difficoltà, se facciamo un'eccezione per un paio di gradini naturali nella roccia che presentano pochi appigli. In discesa ammetto di aver messo il sedere a terra per paura di cadere; in senso opposto è invece sufficiente aiutarsi con una mano.
Meno interessanti, a mio parere, gli altri comuni del circondario: molto piccoli, assai poco frequentati, offrono a stento il conforto di un bar per una bibita.
Un'escursione quasi obbligata, sebbene leggermente più difficile della media, è quella al famoso Lago Sorapiss.
Alle pendici del cosiddetto Dito di Dio, è caratterizzato dal colore latteo delle acque:
Ovviamente il prezzo da pagare per ammirare questa meraviglia è l'affollamento del sentiero: nelle belle giornate sembra di essere in coda all'ufficio postale, e spesso l'incedere è reso addirittura spiacevole dal chiasso dei "compagni" di viaggio. Come dicevo, questo sentiero presenta alcune peculiarità: ad esempio l'attraversamento imprevisto di un piccolo nevaio, che tende a gettare nel panico i più emotivi. Basta un minimo di prudenza per fare i venti metri da un lato all'altro del canalone innevato, ma quando si incontrano turisti con le scarpe da ginnastica tutto diventa complicato. Inoltre bisogna tenersi ad un cavo di acciaio per superare senza cadere due passaggi, uno dei quali era una vera doccia gelata a causa delle precipitazioni dei giorni precedenti. Solite grida e urlati dei turisti, in attesa delle scalette di ferro che sono state collocate per rendere possibile il proseguimento senza cimentarsi in un'arrampicata. Sono scalette normalissime, ma sono "trasparenti" e non tutti amano vedere le rocce sotto i piedi.
Sexten - Sesto
Dal Cadore all'Alto Adige il passo è (relativamente) breve. La località di
Sesto (che vi conviene cercare sotto la denominazione tedesca di Sexten, per evitare di imbattervi nelle dozzine di siti su Sesto San Giovanni o Sesto Fiorentino) è il comune delle Dreizinnen, le celeberrime Tre Cime di Lavaredo. Più accogliente dei paesi del bellunese, tipicamente tirolese per stile ma non integralista per dialetto, è un punto di riferimento per il turismo invernale forse più che estivo.
Meraviglioso il cimitero, con la sua danza macabra:
È consigliata la visita serale, quando la chiesa e il cimitero assumono un fascino misterioso ma mai spaventoso.
Dalla vicina Val Fiscalina parte uno dei più stimolanti itinerari escursionistici delle Dolomiti: il
giro dei tre rifugi. Il primo rifugio, intitolato all'alpinista triestino Emilio Comici, si raggiunge dopo una salita non lunga ma talvolta ripida. I camminatori meno allenati si accontentano di rifocillarsi e di tornare a valle, mentre per i più allenati è solo una tappa per prendere fiato.
Il sentiero prosegue verso il rifugio Pian di Cengia:
In particolare, gli ultimi metri prima del rifugio sono quella cengia di roccia che dà il nome al luogo. Si cammina su un corridoio di pietra opportunamente allargato mediante assi di legno per scongiurare ogni rischio. Non è affatto pericoloso, ma ho assistito a piccole scene di panico a causa dello strapiombo su quale bisogna avanzare prima di raggiungere i tavoli e le panche. Ora sì che è tempo di pranzare e di riposarsi: siamo solo a metà del cammino!
Dopo il Pian di Cengia, il sentiero scende in un ghiaione francamente snervante: in qualche punto sembra di dover sciare sui sassolini, e gli scarponi affondano con maggior fatica dei muscoli. Toccato il punto di minimo assoluto, il sentiero risale ripidamente al rifugio Locatelli. Il panorama sulle Tre Cime è così spettacolare che probabilmente pochi visitatori ricordano l'aspetto del rifugio! La sosta è obbligatoria, ma l'avvicinarsi di nuvole minacciose e temporalesche mi hanno indotto a tornare a valle lungo l'ultimo tratto del sentiero. Saranno state le quattro ore nelle gambe, ma ricordo questi quasi mille metri di discesa come un mezzo incubo: sotto la pioggia non violenta ma fastidiosa, su sassi lucidi e dunque scivolosi, in mezzo alla vegetazione che non permette di capire quanto manchi alla fine. Finalmente a fondo valle, c'è stato il tempo per una gazzosa al bar prima che scendesse l'ennesimo acquazzone. Più di mille metri di dislivello, sei ore di cammino: non una passeggiata, ma senza dubbio un'escursione di indubbio fascino.
Sappada
Ultima tappa, spingendosi verso est e verso il confine con il Friuli Venezia Gilia,
Sappada è una rinomata località sciistica. Amministrativamente collocata in provincia di Belluno, ma nel mio immaginario già friulana, è un paese ricco di negozi e di attività. Almeno fino alle 21...
Più cosmopolita delle precedenti cittadine, offre maggiore scelta di ristoranti: ho perfino cenato in un ristorante toscano, con tanto di fagioli all'uccellina e cioccolato di Livorno. Scendendo lungo la stradina che affianca la chiesa, si arriva ai campi da golf e al campeggio. Ma si arriva anche alla vecchia segheria, punto di partenza del sentiero che attraversa il lussureggiante bosco della Digola.
Percorrendo il sentiero 313 si arriva al Passo della Digola: il tipico punto in mezzo al nulla, ma luogo perfetto per mangiare un panino e riposarsi seduti nell'erba. Attenzione però alle... tracce lasciate dalle mucche!
Piacevole e poco impegnativa è l'ascesa al rifugio Calvi:
Dalle sorgenti del Piave, meritevoli di una visita prima di imboccare il sentiero, si prende la strada bianca (o la breve variante nel bosco) fino al bivio indicato da un cippo:
Andando a sinistra, si arriva al rifugio sempre su strada bianca, mentre il sentiero delle marmotte dà maggiore divertimento ma è sconsigliabile in discesa. La salita è invece fattibile, seppur con grande fatica in caso di terreno umido. Inoltre il tracciato sembra coincidere con una traccia rocciosa, ma spesso occorre inventarsi minime varianti per evitare di scivolare e mettersi in situazioni spiacevoli.
Gli alberghi
A Selva di Cadore, ho dormito all'
Hotel Giglio Rosso. Gestito da una signora con il braccino talmente corto che per grattarsi il naso deve usare un ferro da maglia (wi-fi a 60 centesimi ogni mezz'ora, tovaglioli imbustati per l'intera permanenza, con qualche perplessità sull'igiene, spiacevoli tentativi di addebitare cifre superiori a quelle pattuite per iscritto, ecc. ecc.), è dignitoso, ma le tre stelle sembrano generose. Colazione adeguata.
A Sexten ho alloggiato nello storico edificio dell'
Hotel Sextenerhof. Stanza molto grande, divisa in due ambienti separati, peccato solo per il letto incastrato fra due comodini, con il tipico risultato di finire così:
Di sera il bar dell'albergo assume un'aria leggermente malfamata, e mi è capitato di vedere un avventore addormentato sulla panca, ubriaco fradicio.
A Sappada ho alloggiato al
Meublé Claudia. Aperto nel 1991, è in una borgata a ridosso degli impianti sciistici. D'estate la passeggiata fino al centro è lunga, ma ha il vantaggio di un negozio di alimentari proprio di fronte (utilissimo per acquistare panini e bevande prima delle escursioni) e alcuni ristoranti nelle immediate vicinanze. Camera veramente grande, dotata di due balconi, un po' fredda e umida a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Colazione ricca, accoglienza premurosa ma non troppo cerimoniosa. Forse la migliore delle tre strutture.
Viaggio di ritorno
Il rientro è stato una piccola odissea. Una frana ha causato l'allagamento e la chiusura della galleria principale di accesso a Sappada (da ovest, mentre da est bisogna aggirare le Dolomiti friulane con un percorso esageratamente lungo), e il traffico era congestionato. Dovevo essere accompagnato in macchina a Trento, dove avrei preso il treno per Verona e Milano. Un tragitto di tre ore e mezza si è trasformato in una via crucis di quattro ore e tre quarti a passo d'uomo fino a Bressanone, imbocco dell'autostrada. A Trento ho acquistato il biglietto e sono salito sul regionale per Verona. Tutto perfetto, ma a Verona il mio treno Frecciabianca da Udine per Milano aveva già un'ora di ritardo. Sono corso all'emettitrice per cambiare la mia prenotazione con quella del successivo treno per Torino, ma sono riuscito a imbattermi in un bug del software (confermato dal personale di assistenza). Non avevo tempo di cambiare il biglietto in biglietteria - comprensibilmente presa d'assalto dai "milanesi" che cercavano di capire come tornare a casa - e mi sono rivolto direttamente al capotreno. Una persona molto comprensiva, che mi ha fatto salire senza ulteriori formalità, proprio per la situazione particolare. A Milano sono saltato al volo sul Regio per Bellinzona, sono sceso a Seregno sotto il tipico temporale fantozziano, e ho preso il regionale per Cantù. Riassumendo: partito alle 9 da Sappada, sono arrivato a casa dopo più di dieci ore. Stanco ma soddisfatto.
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