La nostalgia ha tanti volti. Per me, la mattina presto, ha il volto del mio professore di fisica al liceo. Salgo in autobus per raggiungere la stazione, e lo vedo scendere a piedi lungo via Manzoni. Uguale a venticinque anni fa, forse i (pochi) capelli più banchi e qualche ruga. Vestito in maniera improbabile come solo gli scienziati (e i professori) sanno fare: pantaloni color salmone, scarpe beige, giubbotto da sci con le maniche troppo lunghe.
Non ho un ricordo particolarmente piacevole di questo docente, che raccontava a noi studenti di aver desiderato una carriera come maestro di sci. Ma, aggiungeva, la vita gli aveva dato la sorte di fare l'insegnante di fisica, e ne era soddisfatto. Comunque non è questo il punto.
Il punto è che questo professore, immagino alla soglia della pensione, spinge la mia memoria indietro, a quegli anni in cui ero io a scendere tutte le mattine da via Manzoni con lo zaino carico sulle spalle. Anni di sogni, di paure, di interrogazioni e di risate con i compagni di classe. Anni di traduzioni dal latino e di problemi geometrici con parametro. Mentre guardo quest'uomo affrettarsi verso il liceo, mi chiedo: che cosa è rimasto oggi?
Un tempo avrei detto che rincorrere i ricordi è l'essenza della vita. Ma oggi non lo penso più. Il 2016 è un anno che ha segnato profondamente la mia esistenza, anno di passaggio e di approdo - finalmente - all'età adulta. Non temete, continuo a collezionare i fumetti di Topolino. Sono la mia navicella per tornare bambino un'ora alla settimana.
Però la svolta del 2016 mi ha spinto a rivedere certe convinzioni. Ormai sono convinto che i ricordi debbano stare dove sono, in fondo alla memoria. Stanno bene, al caldo, in pace. Il nostro scopo è quello di crearne ogni giorno di nuovi, di belli e di brutti. Pur sempre ricordi sono. In fondo i ricordi sono solo i mattoni che edificano la nostra casa, e sarebbe penoso fermarsi alle fondamenta. Ogni giorno un mattone, fino al tetto, senza guardare troppo indietro.
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