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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Vincoli

Anche i lettori più appassionati possono correre il rischio di lasciarsi sfuggire i libri più belli. Ringrazio pertanto Daniela G*, che al termine di una serata in pizzeria con colleghi di università e famiglie mi ha suggerito la lettura di Kent Haruf. Intendiamoci, negli ultimi anni avevo trovato i suoi romanzi sugli scaffali di molte librerie, ma per qualche ragione avevo frainteso praticamente tutto. Colpevolmente, mi ero fermato ai titoli e alle copertine, che evocavano nella mia mente scenari davvero diversi dalla realtà.

Come spesso accade quando non si seguono le mode editoriali, sono partito dal più recente volume di Haruf, che però è anche il primo in ordine cronologico. Vincoli (The tie that binds) risale infatti al 1984, ed è l'esordio dell'autore nel genere del romanzo. L'immaginaria città di Holt, Colorado, fa da sfondo al racconto di Sanders Roscoe, che parla in prima persona ad un cronista arrivato da Denver in cerca di rivelazioni succulente su un fatto di cronaca.

Questo spunto, certamente non originale ma sempre efficace, è l'occasione per narrare le vicende di Edith e Lyman Goodnough, due fratelli anziani che hanno attraversato l'ultima epopea del West tra la fine dell'Ottocento e il 1977. Proprio in questo anno, Edith ha organizzato un omicidio-suicidio per porre fine a due esistenze ormai giunte al limite della sopportazione. La trama è piuttosto semplice, e non la riassumo oltre: chi vorrà, potrà leggere il libro.

Ciò che rende questo libro un piccolo gioiello è esattamente la capacità di Haruf di parlarci "di persona", e la nostra sensazione è quella di un dialogo davanti ad un boccale di birra tra amici. Quella sensazione piacevole che poteva trasmettere la voce di un Mario Rigoni Stern, per fare un paragone italiano. Nell'esistenza di una donna, Edith Goodnough, che si è immolata per accudire il padre invalido, i campi da coltivare e infine il fratello nell'ultimo periodo di demenza senile, c'è molto più di quanto si possa immaginare.

Curiosamente, e non nascondo un po' di inquietudine, ho ritrovato nell'ossessione di Lyman Goodnough per le cartine geografiche e gli orari dei treni una mia passione giovanile: come Lyman, prima dell'avvento di Internet, amavo studiare gli orari ferroviari e le mappe delle città, immaginando di visitare luoghi mai visti. D'altronde, è ben noto che infanzia e senilità, come molti opposti, finiscono per toccarsi.

Stamattina ho ordinato in libreria il cofanetto della Trilogia della pianura. Ho scoperto un nuovo autore, certamente non resterò deluso.

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