Avete mai provato a pensare che cosa succederebbe, se improvvisamente rinunciassimo tutti al rispetto dei principi della civile convivenza, al rispetto dell'autorità costituita, a tutte le convenzioni sociali che fin da bambini siamo stati educati a seguire? Se l'avete fatto, probabilmente siete anche voi dei Trasgressionisti.
Torna sugli scaffali Giorgio De Maria, autore sempre troppo dimenticato delle
Venti giornate di Torino (di cui ho parlato su queste pagine alcuni mesi orsono), con
la nuova edizione di un romanzo apparso nel 1968 e mai più ristampato. Atmosfere surreali, oniriche, spettrali accompagnano il narratore anonimo che descrive in prima persona il proprio Grande Salto. Così è definito, nella cerchia dei Trasgressionisti, l'apice della ribellione al comune senso del pudore: un passo definitivo, che non ammette ripensamento né ritorno.
Il protagonista è un giovane torinese, prossimo alle nozze con una ragazza borghese e "perbene". Per puro caso, egli si imbatte in una singolare prova di forza, conosciuta con il nome di
occhio di ferro, tra un uomo e un commesso: i due si fissano per un quarto d'ora buono, senza parlare. Ecco, gli confida un amico, il singolare cliente era con tutta evidenza un Trasgressionista.
Da questo momento, il narratore si avvicina alla setta, guidata da una specie di santone definito Maestro. Si danno appuntamento nel retro di una locale pubblico, seduti sul pavimento a gambe incrociate.
Il Maestro dispensa i suoi insegnamenti di vita contraria ad ogni convenzione, guidando gli adepti verso - appunto - il Grande Salto. Facile immaginare che il nostro protagonista dovrà sottrarsi alle imminenti nozze, e dovrà farlo in grande stile.
Giorgio De Maria ha la fama di essere stato un autore profetico, addirittura precursore nelle
Venti giornate dei moderni social network. Su questo discorso ho già espresso il mio punto di vista, e non mi ripeterò. Tornando ai
Trasgressionisti, penso che alcuni temi molto attuali siano effettivamente toccati. E' innegabile che il limite di accettazione di alcuni discorsi si sia molto abbassato: lo chiamiamo
sdoganamento, ed è avvenuto per il pregiudizio razziale, quello di censo, e l'elenco si allunga. Migliaia di persone insultano quotidianamente intere etnie o popolazioni, arrivando all'aggressione fisica che ai tempi di De Maria sarebbe stata censurabile.
Qualcuno potrebbe obiettare che la società non era migliore, c'era solo un pesante velo di
perbenismo che non era consentito squarciare. Mi domando però se sbattere il marcio in prima pagina sia un'opzione migliore. Certo è che l'idea di abbandonare una sposa sull'altare appare oggigiorno assai meno scandalosa che nel 1968. Paradossalmente, proprio la profezia dell'autore azzoppa il peso specifico del romanzo.
Concludo con un giudizio personale sull'opera, che mi ha un po' deluso. L'inizio è promettente, la suspense palpabile. Poi tutto si sgonfia in un continuo registro onirico piuttosto lento e improduttivo. De Maria aveva per le mani una "bomba", e si è dimenticato la miccia. Una curiosità da riscoprire, ma distante dalle
Venti giornate.
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