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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Tweetie

C'era una volta Tweetie, il canarino giallo:



Ai giorni nostri, quando senti una parola che inizia con "twit", pensi subito a Twitter. Già, proprio quel sistema di messaggini nei quali, teoricamente, dovresti scrivere il minimo indispensabile. E figurati se avrei potuto resistere alla tentazione di provare. Quindi ho un account su Twitter: @admsimat

A differenza di Facebook, Twitter è più complicato da usare: non è una piattaforma di blogging, e non è neanche una vetrina in cui scrivere le proprie fregole. A pensarci bene, è un sistema di SMS a pioggia, dove un singolo messaggio/pensiero viene copiato nella "bacheca" di tutti gli utenti che ti "seguono". Il risultato? Una congerie di messaggi scollegati, che in poco tempo stancano e innervosiscono.

Solo per fare un esempio, nella prima pagina del mio account leggo "tweet" su:

  1. lo sciopero dei tassisti a Roma, raccontati in diretta (!) da una tizia che non ho mai sentito nominare;

  2. l'incipit, spezzato in dozzine di tweet, di un libro in uscita presso una nota casa editrice;

  3. le condizioni meteo di tutte le località dell'arco alpino;

  4. la pubblicità di Joe Lansdale, che farebbe meglio a scrivere romanzi invece che tweet autopromozionali;

  5. Mario Vargas Llosa che accetta la presidenza di qualche cavolo di società filantropica, e si dice onorato (ma Vargas Llosa non mi stava sullo stomaco? Come ha fatto ad intrufolarsi nel mio account?);

  6. uno spot dell'Isola dei Famosi (mortacci loro);

  7. avviso che a Berna il cielo è nuvoloso;

  8. eccetera, eccetera, eccetera.


Eppure sembra che Twitter sia diventato la piattaforma sociale più popolare in tutto il mondo, dai giornalisti imbolsiti che non sanno più alzare le chiappe dalla sedia fino ai rivoltosi in Medio Oriente e in Africa. E il bello di tutto questo è che io non ho fatto niente! E già, perché se mi garba, basta che pigio "retweet" e diffondo come la peste polmonare (molto più virulenta di quella bubbonica) ogni mia sciocchezza a tutti quelli che mi "seguono", volenti o nolenti.

Delle due l'una: o devo ancora imparare ad usare Twitter, oppure non fa proprio per me...

Commenti

  1. se poi capisci come si usa o a cosa serve, spiegamelo perché io proprio non ce la faccio...

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