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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Ricordi della Valle

Valle d'Aosta, luglio 2012.

Dopo il primo, breve contatto con la valle dello scorso settembre, quest'anno sono tornato nella piccola regione montana con più calma. Le tappe sono state tre: Cogne e dintorni, la Valtournenche, e infine la Val d'Ayas.

Cogne è un piccolo comune all'estremità meridionale della valle omonima, affacciata sul Gran Paradiso. È composto da alcune frazioni che si sviluppano attorno ad un torrente piuttosto largo e impetuoso.


Ero partito con un'idea piuttosto astratta del paese, memore della funerea desolazione di Dégioz, capoluogo dell'adiancete Valsavarenche. In realtà Cogne è un centro abitato estremamente piccolo e largamente dedito all'affitto di residenze per turisti (pare che sia una meta ambita per i tipici bauscia milanesi), degnamente attrezzato per accogliere visitatori di ogni età, ma carente nel settore delle attività commerciali. Si conta infatti un solo mini-market, preso d'assalto dalla massa dei gitanti affamati e assetati, e forse un paio di gastronomie. Per tutto il resto, non ho capito bene dove si debba andare: ad Aosta?
Comunque sia, ho dormito nella frazione montana di Valnontey, e precisamente nel grazioso Lou Tsantelet, condotto da una famiglia simpatica e ospitale. Grande pecca la scarsità di copertura telefonica: basterebbe un piccolo ripetitore per replicare il segnale dalla sottostante vallata. Valnontey è ormai sinonimo di un ampio parcheggio dal quale si parte per escursioni più o meno impegnative. A pochi metri dall'albergo c'è il giardino botanico, ricco di piante ed arbusti provenienti da ogni parte del mondo (a proposito: come può sopravvivere una pianta della steppa siberiana ai trenta gradi delle estati italiane?).
Lo stesso sentiero che conduce all'orto botanico è anche l'inizio di alcuni celebri sentieri escursionisti. Uno dei più affascinanti è la traversata dal rifugio Sella ai casolari dell'Herbetet. Il tempo di 7h30 è probabilmente esagerato, ma non conviene prendere questo percorso ad anello con troppa leggerezza. Purtroppo, la mia escursione praticamente non è partita: arrivato al rifugio Sella... non ho visto il rifugio (ci vuole un bel genio per costruire un rifugio dietro un casolare che lo nasconde completamente) e ho anche sbagliato sentiero: forse per la stanchezza, ho letto "traversata Sella-Erban" e ho capito "Traversata Sella-Herbetet", e ho deviato a destra.


Peccato che il Mont Erban sia agli antipodi dei casolari dell'Herbetet, e ho camminato su un sentiero esposto, fra sassi, catene e gradini di ferro, sull'orlo del precipizio. Alla fine ho incrociato due camminatori molto cortesi, che mi hanno spiegato l'errore e mi hanno invitato a tornare indietro al Sella. Non sarebbe successo nulla di irreparabile, visto che il sentiero conduceva ancora a Cogne, ma avevo davanti almeno altre tre ore di marcia dalla parte sbagliata! Fatta il pasticcio, ormai ero troppo stanco per fare la traversata opposta, e sono sceso a valle. Ridendo e scherzando, ho camminato per quasi sei ore e mezza con una sola sosta di mezz'ora al massimo. Il giorno dopo avevo le ginocchia a pezzi, e proprio per la difficoltà a camminare in discesa, ho preferito dedicarmi ad una breve passeggiata sull'altra metà dell'anello, cioè da Valnontey all'Herbetet.

Dopo Cogne, la Valtournenche. Come spesso accade, anche questo è un comune molto inconsueto per le usanze lombarde: molte frazioni e località si estendono lungo la valle e sui pendii. Dormendo all'Hotel Tersiva, una struttura piuttosto "cittadina" per gli standard valligiani, la famosa località di Breuil-Cervinia era a pochi chilometri. E qui il panorama cambia completamente: non più valli spettrali e case abbandonate, ma alberghi di lusso e impianti di risalita che, purtroppo, sfregiano le montagne. Su tutto e su tutti, il Cervino, dalla caratteristica forma a punta, sempre visibile da ogni direzione.

L'escursioni principale è stata verso il Col de Nana (o Nanà, o Nanaz, a seconda dei cartelli).

Il sentiero non è affatto difficile, si parte da Cheneil, si supera il bivio per Chamois, e si prosegue lungo i prati fino al colle, che idealmente separa la Valtournenche dalla Val d'Ayas. Il panorama è spettacolare, sebbe il punto panoramico sia anche terribilmente freddo e ventoso. I più ardimentosi (non io) possono anche scalare qualche picco più alto, o allungare la passeggiata verso altri colli e becche. La seconda escursione è stata al rifugio Duca degli Abruzzi. Si tratta di un itinerario abbastanza abbordabile (ma molto assolato, quindi è bene evitare scottature e bere tanta acqua), meta di gruppi e di camminatori di tutte le età. Il rifugio è organizzato e offre un menu interessante; forse leggermente caro, vista la posizione. Al ritorno, invece di scendere a ritroso, ho scorto il famoso/famigerato "sentiero che porta dritti a Cervinia, proprio lì sotto". Invece, quel sentiero resta un miraggio, poiché si snoda troppo in basso per essere raggiunto dal rifugio. Occorre attraversare la morena scivolosa, camminare parecchi chilometri, e giungere finalmente al Plan Maison. Questo è un raccapricciante mostro di cemento, che d'inverno raccoglie gli immancabili sciatori della domenica con bar e negozi. Da Plan Maison a Cervinia c'è ancora un'ora e mezza di discesa, a zig-zag sotto i piloni della cabinovia. Per non farmi mancare nulla, ho deciso di risparmiarmi questo ultimo tratto a piedi: la breve discesa nella cabina trasparente fa un certo effetto, soprattutto lo strappo brusco alla partenza, che fa oscillare per qualche secondo in attesa che la forza di gravità stabilizzi il trabiccolo. La sensazione può essere elettrizzante, ma non amo stare sospeso in aria. e dire che, dal basso, la cabinovia sembra un giocattolo per bambini.

Infine, a coronamento delle fatiche di quasi due settimane, l'ultima tappa in Val d'Ayas, a Brusson. Il confortevole B&B l'Abreny, situato a monte di un bel laghetto circondato da un parco giochi, è stata un'ottima scelta: una camera ampia, quasi un monolocale con tavolo, frigorifero e forno a microonde, in un'edificio ben ristrutturato. Brusson è a sud di Champoluc, forse l'unica cittadina organizzata in modo meno spartano del solito. Di Champoluc mi parlava spesso mio nonno, che in questi luoghi aveva fatto l'addestramento sotto le armi. L'escursione principale è stata quella al rifugio Mezzalama.
Un tempo era un rifugio piuttosto frequentato, ma l'apertura del più ardimentoso rifugio delle guide d'Ayas l'ha reso un semplice luogo di passaggio verso le cime innevate del Monte Rosa. Partendo dal borgo di Saint Jacques, il sentiero n. 8 (attenzione alle vecchia mappe, che chiamavano 7 l'attuale sentiero 8) conduce al Pian di Verra Inferiore, al Pian di Verra Superiore, e infine al Mezzalama in "sole" 3h45. Il tempo di percorrenza è molto variabile: dipende dalle condizioni meteo, dalle proprio forze, dalle varianti seguite. Alcuni segnali riportano addirittura 4h45, ma sembrano palesemente eccessive: dal primo segnale (4h45) al secondo (4h30) si arriva in pochi minuti, e al Pian di Verra Inferiore è raggiungibile in 45 minuti invece che in 1h30 come indicato. Poi, certo, dipende dalle proprie gambe!
Ero molto preoccupato dall'impegno richiesto, e avevo elaborato il "piano B": scendere al lago Blu e tornare a casa. Invece l'ultimo tratto, che pure è ripido, si risolve in tre quarti d'ora di salita: faticosa ma fattibile, anche se stanchi. I due gestori del rifugio sostengono che sono pochi gli avventori, e meno ancora gli alpinisti che passano la notte lì. Un buon piatto di pasta al pesto, invero più ligure che valdostano, ritempra dopo lo sforzo, e invita alla discesa lungo l'attuale sentiero n. 7, che punta al lago Blu seguendo un costone che spaventa qualche famigliola con i bambini al seguito. Niente di drammatico, ma la prudenza non è mai troppa. Il lago Blu è splendido, e verrebbe voglia di buttarsi: tutta la passeggiata è infatti caratterizzata dall'assenza di fontane e dall'arsura estiva. La discesa è complessivamente tranquilla, e solo l'ultimo tratto "urbano", su una stradina ripida di pietre, causa qualche dolore alle articolazioni. Tutta l'impresa è durata varie ore, dalle 9 alle 17 circa. Ma i postumi si sono rivelati insignificanti.
Il giorno successivo, come allenamento defatigante, una rilassante camminata lungo il Ru, un ruscello che scorre in piano e attraversa alpeggi e piccoli boschi. Ma questa è una gita domenicale per famiglie, ed infatti i prati si sono riempiti di bambini e genitori con le provviste per un picnic.

Sulla via del ritorno, sosta a Gressoney (nelle due Gressoney, per la precisione).
Qui le valli tornano a farsi strette, e si aggiunge il fascino antico delle popolazioni Walser: uomini e donne di lingua tedesca, che popolarono la valle del Lys lasciando un'atmosfera più altoatesina che francese. All'abituale (e forse esagerato) bilinguismo, si aggiunge il tedesco, spesso come prima lingua. Sarà un'impressione, ma questa valle mi ha lasciato una sottile inquietudine. La tipica precisione tedesca, fatta di case pulite e giardini ordinati, si affianca ad un degrado da periferia urbana, e i vasi di fiori convivono con i ruderi e le macerie di vecchi alberghi abbandonati e strutture fatiscenti. I Walser sembrano aver lasciato una presenza quasi spettrale dietro le finestre chiuse e le porte sbarrate.


Qualche commento finale: il bilinguismo valdostano mi sembra un falso mito. Mentre in Alto Adige tutti parlano tedesco e si sforzano di usare un italiano elementare con i turisti, qui tutti parlano italiano e usano il patois fra di loro. Di vero francese, ne ho sentito ben poco. D'altronde, l'accento piemontese è simpaticamente marcato, e con la mia "erre" sembravo più francese di loro. Fra l'altro, devo ancora risolvere il mistero delle pronunce; qui gli autoctoni non sembrano seguire i dettami del francese corrente, e leggono i nomi geografici "all'italiana". Per esempio, sono pochi quelli che dicono "Champoluc" con la "u" francese; molti sembrano dire "Champolouc", con la "u"italiana. Idem per Brusson. Io, ingenuamente, pensao che Valnontey facesse rima con la località svizzera di Vevey (che in Svizzera si dice Vevé), e invece tutti dicono "valnonteii". Insomma, meno ti sforzi di parlare francese, e più passi per valdostano.
Scherzi a parte, devo ammettere che la gente è piuttosto accogliente e simpatica, senz'altro più di un brianzolo medio o di un milanese frettoloso. E ricordate: se entrate nel supermercato di Brusson, non comperate la baguette con le cipolle. È un'arma di sterminio potentissima, che può essere usata sia come arma di contaminazione alimentare, sia come mazza ferrata per il combattimento corpo a corpo.

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