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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

Le previsioni, la scienza e l'economia

Ho letto con molto interesse e ammirazione la prefazione (http://www.roars.it/online/prefazione-a-previsioni-cosa-possono-insegnarci-la-fisica-la-metereologia-e-le-scienze-naturali-sulleconomia-di-mark-buchanan/) di Francesco Sylos Labini ad un libro di Mark Buchanan, "Previsioni", edito da Malcor D'. L'ho letta con interesse perché il primo pensiero è tornato a quel giorno di tanti anni fa, in cui il professor Vito Somaschini chiese alla mia classe quale fosse lo scopo della fisica. Ricordo di aver intuito la risposta, ma di non aver alzato la mano: prevedere il futuro. La fisica serve (essenzialmente) a costruire teorie che ci aiutino a prevedere l'andamento della realtà nel futuro prossimo. La fisica, ad esempio, ci insegna che una mela lasciata cadere finirà irrimediabilmente per raggiungere il suolo, a causa dell'attrazione gravitazionale. Prevede dove cadrà una freccia scagliata con una certa velocità iniziale ed un certo angolo di alzata.

Ma l'esempio principale dell'utilità della fisica è per tutti quello della meteorologia. Le previsioni del tempo sono oggi basate su modelli matematici complessi, elaborati a partire dai dati di satelliti geostazionari sempre più sofisticati. Queste previsioni sono ormai estremamente affidabili nel breve e brevissimo periodo, ma risultano poco significative per periodi temporali più estesi (nell'ordine dei giorni e delle settimane).
Quello che molti di noi forse ignorano è che le cosiddette previsioni stagionali sono invece basate su un modello puramente statistico: per semplificare, il meteorologo consulta gli annuari delle stazioni di rilevamento e si affida ad un principio di somiglianza. Se nel mese di settembre degli ultimi vent'anni il tempo è stato di un certo tipo, è improbabile che il prossimo settembre sia radicalmente diverso. Nella realtà sono presi in considerazione altri fattori, ma l'idea resta questa. L'intrinseca debolezza del metodo rende le previsioni stagionali imprecise, soprattutto a livello locale: è difficile prevedere se a Como o a Trieste  il tempo sarà soleggiato, mentre risulta più ragionevole prevedere il tempo dell'intera Italia settentrionale. Insomma, queste previsioni possono essere soddisfacenti in media, non località per località.

Ebbene, una delle critiche più forti che Sylos Labini (e ovviamente Mark Buchanan) muovono nei loro scritti agli economisti neoclassici è proprio che costoro utilizzano modelli matematici senza considerare gli effetti caotici del sistema. Le previsioni economiche sembrano concentrarsi più sulla scala mondiale e decennale che sulla scala di interesse per i singoli individui. Faccio un esempio: la crisi del 1929 può essere anche vista come una parentesi tutto sommato trascurabile nell'era industriale e post-industriale. Andatelo però a raccontare a chi ha perso tutto ed è finito in miseria per il crollo di Wall Street: come minimo rimedierete un occhio nero.

Le previsioni, secondo Sylos Labini, devono invece descrivere la realtà nel modo più accurato possibile, e devono soddisfare alcuni criteri di scientificità. In particolare, le ipotesi dei modelli matematici devono essere sottoposte a verifiche empiriche.

Per i non specialisti, chiarisco con un esempio: consideriamo un teorema matematico che affermi "Se vale l'ipotesi A, allora vale la tesi B". Un tale enunciato può essere logicamente corretto, ma potrebbe essere inapplicabile alla realtà: l'ipotesi A magari non è mai soddisfatta, dunque non è lecito concludere che valga la tesi B. Ovviamente questa "mania" empirica appartiene ai fisici ma non ai matematici, che sono soddisfatti della dimostrazione del teorema e tipicamente non si curano di enunciare teoremi utili o realistici ad ogni costo.
Tornando a noi, è ben noto che alcuni modelli applicati dagli economisti sono fondati su ipotesi non verificate, e per questo non è lecito credere che le previsioni basate su di essi siano attendibili.

Non mi dilungo oltre nel riassumere le tesi di Sylos Labini, rimandando al contributo originale. Vorrei però spendere qualche parola di commento in generale. A mio modesto e trascurabile parere, tutta questa bagarre nata attorno agli economisti si basa su un assunto che appare ormai infondato: che tutti gli economisti siano scienziati e come tali si comportino.

Uno scienziato (moralmente rigoroso) si occupa di scienza, e non dovrebbe essere troppo preoccupato dalle implicazioni dei propri studi. Gli economisti di spicco, quelli che tutti i giornali intervistano, sono invece propagandisti: in altri termini non vogliono spiegarci la realtà, vogliono modificarla e manipolarla. Svolgono un ruolo politico, e assumono posizioni ideologiche nella convizione che non serva un modello della realtà ma un modello per la realtà. Sono sovente ingaggiati dai governi in qualità di esperti, che poi significa strateghi.

Quello che intendo è che c'è ormai da stupirsi dello stupore: vi fidereste di un meteorologo che cura gli interessi di una lobby di ombrellai? Io no. Ma forse c'è di peggio. L'altro tasto sul quale Sylos Labini batte ripetutamente è quello dell'equilibrio, un concetto che la fisica definisce con precisione ma che tanti economisti usano vagamente a sproposito.
Sempre per esemplificare, immaginate di collocare la classica pallina sul fondo di una ciotola (di quelle con il "sedere" rotondo): la pallina occupa una posizione di equilibrio stabile, poiché piccole perturbazioni della sua posizione la riportano comunque sul fondo della ciotola. Tuttavia anche una pallina collocata sulla cima di una montagna occupa una posizione di equilibrio; la differenza è che l'equilibrio è ora instabile. Basta un colpetto e la pallina rotola a valle.

Ebbene, sembra di capire che nel centro del mirino ci sia l'instabilità degli equilibri economici, ovviamente fonte di piccole e grandi tragedie per gli individui comuni. Anzi, Sylos Labini contesta addirittura l'esistenza di equilibri nell'attuale sistema economico occidentale. Il mio sospetto, ovviamente privo di fondamento rigoroso, è che ben pochi economisti tifino per il raggiungimento di equilibri stabili. La ragione è che sono proprio i turbamenti dell'equilibrio che consentono ai grandi capitali di creare rendite succulente. Se occorressero perturbazioni violente per stravolgere i mercati, arricchire sarebbe un'operazione difficilissima: probabilmente servirebbe l'economia reale, non più quella dei giochi in borsa valori. Un panorama tutt'altro che interessante per gli squali del liberismo.

A questo punto la domanda è perché non si vedano altrettanti economisti di altre parrocchie, ma evidentemente non possiedo la risposta. Tutte le tesi di Sylos Labini (e a fortiori di Buchanan) appaiono condivisibili, ma mi colpisce il candore di chi finge di ignorare che la finanza mondiale è diventata il campo di battaglia del terzo millennio. Gli economisti, non quelli che studiano criticamente la materia ma quelli che ne scrivono per il popolo, sono i nuovi esperti militari che i governi assoldano per vincere la guerra. E la guerra è sempre sporca, anche quando non usa la polvere da sparo.

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