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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Mare, profumo di mare

Sono al mare, un po' a Marina Julia, un po' a Grado. Stare lì, sdraiato sulla spiaggia, mi fa inevitabilmente ricordare delle lontane estati dei primi anni Ottanta: soprattutto Punta Ala, nella celebre pineta del camping Baia Verde.

Avevo meno di dieci anni, il mondo entrava negli anni che avrebbero visto finire un'epoca di guerra fredda e di paure nucleari. La colonna sonora comprendeva canzoni fluide e orecchiabili come questa:
Andavo in Toscana con mia mamma e mio nonno attraverso quello che mi sembrava un viaggio della speranza: partenza alle cinque del mattino sulla Ford Escort bianca caricata come una stiva, ore ed ore di autostrada infuocata e di strada statale Aurelia senza il conforto di una sosta per sgranchirsi le gambe anchilosate. Funzionava così, e forse per questo sono un automobilista che ama le pause frequenti.

Ad ora di pranzo (forse anche più tardi) arrivavamo all'ingresso del campeggio, e un tizio in bicicletta ci guidava fino alla piazzola. Seguivano il dibattito di rito sulla qualità della posizione, sulla pendenza della strada, sulla simpatia dei vicini. E infine arrivava l'agghiacciante operazione di edificazione della vetusta tenda famigliare, condotta dal nonno armato di chiodi e martello di gomma per i tiranti, di vanga per scavare l'indispensabile trincea contro le alluvioni, di imprecazioni ad ogni errore di montaggio. Due teli di plastica (sempre gli stessi) a fare da pavimento e via, la nostra casa per il successivo mese era pronta.
Il primo giorno se ne andava in compere alimentari, soprattutto il ghiaccio per conservare gli alimenti deperibili. Non avevamo infatti un frigorifero elettrico, e portavamo alcuni parallelepipedi colorati a congelare in un apposito negozio del campeggio. Con il caldo bisognava ripetere l'operazione ogni due giorni, ma erano gli anni della Milano da Bere e andava bene così.

A pranzo accendevamo la radio a batterie dell'avo, sempre sintonizzata sul Gazzettino Padano. Ricordo distintamente il rapimento di Emanuela Orlandi, destinato a restare un mistero irrisolto ancora oggi. Si mangiava con semplicità, pasta e verdura; detestavo il pane sciapo dei toscani, ma so di essere un consumatore di pane quasi incontentabile. Dopo il pranzo veniva finalmente la transumanza verso la spiaggia, carichi di secchiello-paletta-biglie-crema solare-delfino di gomma-cappellino-salvagente. Mi piaceva andare in acqua, credo piaccia a tutti i bambini. Partivo verso il largo con la mia ciambella colorata sotto le ascelle, mentre la mamma mi recuperava terrorizzata.

Già, dimenticavo: portavo anche la mia bicicletta ereditata da qualche lontano cugino di Stresa. Facevo delle grandi pedalate lungo le vie interne del campeggio, cantando le canzoni della radio con il vento fra i capelli. Talvolta stringevo qualche amicizia con altri bambini, ma sinceramente finivo sempre per litigare con qualche attaccabrighe.

Ora ho circa l'età che aveva mio padre quando ci raggiungeva il primo di agosto, con l'inizio delle ferie. Per decenni ho scansato il mare come la peste, non mi divertiva più. Mi serviva una compagnia speciale per riscoprire il piacere di entrare in acqua e poi asciugarmi sotto il sole. Nessuno canta più le vecchie canzoni dei Righeira (oddio, ci mancherebbe...), l'accento che sento è bisiacco e non grossetano: sono passati trentacinque anni, è giusto così.

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