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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Il tiranno dentro di noi

Pochi giorni fa ho avuto una tipica discussione da social media. Tipica nel senso che ormai funziona così: si discute e ci si blocca a vicenda.

Un mio cosiddetto amico di Facebook ha iniziato a pubblicare lunghi sproloqui dal sapore palesemente polemico e snob. Il primo l’ho letto e sono stato zitto. Il secondo l’ho commentato e sono stato istantaneamente rimosso dai suoi cosiddetti amici.

Tutto normale, direte voi, su Facebook succede ogni giorno. Nemmeno io gli avevo dato peso, poi questa mattina un episodio simile mi ha fatto riflettere. Nella mia bacheca ho trovato un post del genere memorialistico, il cui autore accompagnava da una nota polemica contro altre persone. Un commentatore ha scritto “I saputello!” (sic): l’autore ha risposto, piccato, che da quel momento lo avrebbe cancellato dagli amici. In realtà era un equivoco, causato dal correttore automatico dello smartphone: come l’errore grammatica poteva suggerire, il commente avrebbe dovuto essere “I saputelli!”, rivolto a quelle persone criticate nel post originario. È stato invece equivocato, facendo scattare la ghigliottina sociale.

Più frequento i social media, più mi accorgo che pochi umani sono davvero democratici. Molti, troppi sono nell’animo veri e propri despoti, pronti a censurare e punire ogni critica alle proprie idee e al proprio operato. Costoro esprimono un’opinione, che è ovviamente una delle tante possibili, ma si aspettano applausi e condivisioni. Alla prima critica, esce il dittatore represso che si trincera dietro alla proprietà privata della bacheca, secondo lo schema “Qui sei a casa mia e non puoi darmi contro”.
È quest’ultima una evidente falsità, giacché nel verbo pubblicare è implicito che il contenuto della pubblicazione cessi di essere proprietà privata (in senso intellettuale, non legale) di chi lo diffonde. Se, per intenderci, io scrivessi sul mio diario cartaceo e qualcuno ci mettesse le mani, allora sarei autorizzato a sentirmi offeso. Ma se vado in piazza e declamo le mie idee, chiunque le ascolti è libero di commentarle e criticarle. Si chiama libertà di pensiero.

Dobbiamo concludere che tanti, troppi umani rinnegano la libertà di pensiero sancita da tanti documenti e principi di convivenza? Non esageriamo, perché fra la rimozione dalla lista delle amicizie e la dittatura corre una differenza abissale. Certo è che i presupposti, nel loro piccolo, non sono incoraggianti. Nemmeno una certa, permettetemi, vigliaccheria: se avessi criticato di persona, faccia a faccia, il mio interlocutore, forse costui non mi avrebbe girato le spalle dicendomi che non avrebbe più voluto discutere con me. E l’equivoco grammaticale dell’altro esempio si sarebbe subito risolto in una risata.

Ci prendiamo troppo sul serio, abbiamo una bacheca Facebook e ci sentiamo fini pensatori. Molte delle frasi che pubblichiamo sono banalità che un tempo avremmo riservato ai nostri pensieri mentre ci facciamo la barba o aspettiamo il nostro turno in coda al banco dei formaggi.

Non siamo obbligati a rendere pubblico tutto ciò che pensiamo. Una volta deciso di buttare sul piatto la nostra opinione, dobbiamo però accettare che altri la contestino. Les jeux sont faits.
Written with StackEdit.

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