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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Il montacarichi

Frédéric Dard è stato descritto come l'erede del grande e prolifico Georges Simenon. Incuriosito da tale accostamento, ho letto questo breve ed intenso romanzo noir. Pei i più curiosi, voglio anticipare che, sebbene le biografie ne riportino il legame di amicizia, la vicinanza di Dard e Simenon mi lascia perplesso.

Parigi, primi anni Sessanta del secolo scorso. Albert Hervin è da poco uscito di prigione, dove ha scontato una parte della condanna per l'omicidio della fidanzata. È la vigilia di Natale, tutti sembrano essere felici e contagiati dalla voglia di stare in compagnia. Albert è solo, cena ad un tavolo di un ristorante. Accanto a lui, una bellissima donna mangia in compagnia della figlia, ancora bambina. Hervin ne è ammaliato, qualcosa nella donna gli ricorda la povera fidanzata. Ha deciso: deve conoscerla, perché già la ama.

Il piano del protagonista sembra funzionare, giacché la giovane donna gli permette di prenderle la mano, e in poco tempo si trovano seduti vicini in un cinema. La piccola si addormenta, e Albert è felice di accompagnarla, in braccio, fino all'appartamento dove le due donne vivono. Un montacarichi, immerso nell'oscurità a causa di una lampadina bruciata, conduce il terzetto nella casa dove un delitto sta per travolgere - ancora - la vita di Hervin.

La trama, a questo punto, cambia registro: dopo una prima parte effettivamente simenoniana, drammatica per l'intensità dei sentimenti che avvolgono i personaggi in scena, ora prende il sopravvento la componente crime, che a me ha ricordato forse Cornell Woolrich. Il commissario Maigret è un'altra cosa, ben lontano dalle sfumature cupe di Dard. Senza togliere a chi mi legge il gusto di scoprire l'intrigo nelle parole dello scrittore, bisogna pur osservare che la soluzione dell'enigma rientra nei canoni classici del giallo inglese. Nulla è come appare, nemmeno per chi crede di aver capito ogni cosa.

Ho letto qualche recensione negativa a questo lungo racconto, e quasi sempre la motivazione è che l'ingranaggio del crimine è poco credibile. A mio parere, siamo oggi troppo abituati alla letteratura pseudo-televisiva, nella quale la tecnologia svela tutti i misteri e risponde a tutte le domande. Dard scrive in un'epoca in cui la polizia cercava di risolvere i casi con il fiuto degli investigatori, e in tale contesto penso che l'idea di Dard non sia affatto irrealistica.

Ecco, Il montacarichi non è un capolavoro, così come non ho mai voluto definire tali i romanzi con Maigret. Personalmente mi è dispiaciuto abbandonare le pagine dense e coinvolgenti della prima metà del libro, che meritano da sole la lettura intera.

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