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Magnificat
Parliamo oggi di un’altra opera prima, questa volta scritta da un’autrice italiana che si sta costruendo, passo dopo passo, un futuro molto promettente. Come di consueto non scenderò nei particolari della trama, anche perché questo è un romanzo che bisogna leggere. Non è perfetto, tra poco spiegherò le ragioni, ma è un romanzo da leggere.
Polesine, estate del 1951. Nilde e Norma sono cugine di vent’anni, vivono sole in una casa di campagna dopo aver perso i genitori durante un bombardamento del 1944. L’atmosfera è un po’ strana fin da subito, un lettore malizioso potrebbe cogliere qualche ambiguità destinata tuttavia a restare sotto traccia. Nilde è una ragazza seria, lavoratrice e responsabile. Norma appare invece agitata, ribelle, ostile al controllo famigliare.
Nell’estate della grande pianura si affaccia presto (forse troppo presto) l’elemento soprannaturale, e Norma ne viene rapita. Oscure presenze, sicuramente ostili e vagamente blasfeme infestano il fiume Po. Che cosa sta succedendo a questa ragazza, e perché sembra aver deciso di allontanarsi per sempre da Nilde?
Il lettore avrà il piacere di trovare tutte le risposte nelle pagine di Sonia Aggio; qui mi limiterò ad una recensione che potrebbe essere scambiata per formale, mentre ritengo sia sostanziale. Ovviamente tutte le mie osservazioni hanno carattere personale, e siete liberi di essere in disaccordo.
Un bel romanzo d’esordio, dicevamo. Prima di scrivere questa recensione ho ascoltato alcune interviste della giovane autrice veneta, e il suo entusiasmo dimostra l’amore che ha messo nel libro. Il problema, però, è che mi sono imbattuto in alcune debolezze diffuse, per quanto comprensibili.
Innanzitutto il titolo: a parole Sonia Aggio dà una grande importanza alla figura della Madonna del Magnificat, come se fosse un elemento centrale della narrazione. Invece, da lettore, ho visto una certa fatica nel collocare questa immagine al posto giusto. Un po’ come quando la valigia è già troppo piena e dobbiamo sederci sopra per chiuderla. Questa sovrabbondanza è la vera debolezza di tutto il racconto, in effetti.
L’autrice, probabilmente nel corso di alcuni anni, si è trovata con la testa che scoppiava di idee e le dita che formicolavano sui tasti del computer. La sensazione che si prova in questi casi è bellissima, ma bisogna saperla gestire. Non vorrei aver frainteso, ma penso che Sonia Aggio si sia trovata davanti un meraviglioso pianoforte a coda, e lo abbia suonato con dita delicate e infreddolite, per quanto abili.
Tutto, a partire dal registro della scrittura, è molto femminile, quasi ottocentesco. Le protagoniste sono perennemente caratterizzate da brividi, lacrime, paure. Verrebbe voglia di abbracciarle, ma solo un poco. L’elemento magico entra in scena nelle prime pagine, ma è troppo debole per perturbare veramente il lettore. Anche la lettura nella chiave di un romanzo di formazione manca della forza necessaria e travolgente. Insomma: se scrivi un romanzo di formazione, il lettore deve piangere fino ad addormentarsi sfinito sul dolore per la perdita dell’innocenza. Se vuoi scrivere una storia gotica, il lettore deve sentirsi inquieto (e la rivelazione finale non può essere una conferma di ciò che si intuisce subito). Se vuoi scrivere una storia di amore, il lettore deve innamorarsi dei protagonisti, e ne deve subire la fascinazione.
In questo Magnificat, temo che Sonia Aggio abbia avuto un po’ di paura di vincere, e si sia sempre fermata un passo prima di risplendere. La stessa ripartizione del romanzo in due parti speculari è un espediente che affascina più gli esordienti che gli scrittori esperti, perché bisogna evitare di suonare separatamente la parte della mano sinistra e la parte della mano destra, se mi permettete di continuare la metafore musicale del pianista. Talvolta la linearità non è un difetto, ed è più facile da gestire.
Ecco, giovane scrittrice: suona la tua musica senza paura di rovinare il pianoforte. Prendi per mano il lettore, la direzione la scegli tu e lui ti seguirà. Però devi crederci, e soprattutto devi splendere. Colora le tue pagine del tuo colore preferito, riempile di lacrime, e alla fine lasciale volare via. Il tuo libro sei tu, non dimenticarlo.
Ma in fondo, se hai scritto un’opera prima così, nonostante tutte queste piccole incertezze, chissà che cosa scriverai da grande.
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