Passeggiando per Como una domenica pomeriggio, ho visto la vetrina di una libreria completamente occupata da questa copertina gialla con il teschio stilizzato. Mi sono avvicinato e ho annotato mentalmente il titolo del libro:
Radiomorte. Una volta a casa ho fatto qualche ricerca sull'autore, che sinceramente non conoscevo: italiano, anzi bolognese, quarantenne, specializzato in un genere di letteratura che non amo. Insomma, aveva il profilo perfetto per dispiacermi.
Un giorno ho scovato il romanzo a metà prezzo in una catena dell'usato, e ho deciso che poteva valere la pena di sperimentare. Ovviamente la trama è descritta in termini enfatici, ed in effetti è accattivante. C'è una famiglia, i Colla, che gira radio e televisioni per pubblicizzare i libri del patriarca Fabio. Libri dedicati alla costruzione della felicità e della serenità, per creare il prototipo della famiglia perfetta. I Colla (Fabio, la moglie Patrizia, la figlia Giulia e il figlio Davide) ricevono attraverso l'addetto stampa un invito presso una radio locale, situata accanto all'autostrada. Con il loro sorriso di ordinanza stampato in volto si mettono in macchina e pregustano la solita intervista semplice e trionfale. Li accoglie Kristel, una ragazza vagamente punk, piena di piercing e con i capelli di un colore improbabile, che li fa accomodare nella sala di registrazione. L'intervista inizia, ma prende subito una brutta piega.
Kristel rivela ai Colla il suo folle (folle?) piano: li ha rinchiusi, non hanno possibilità di fuga, e all'alba del giorno successivo li ucciderà con un potente gas velenoso. Anzi, ucciderà solo uno di loro: dovranno scegliere il nome del sacrificato. Le ore passano, e Kristel annuncia ancora un po' di vita, in cambio però della confessione, da parte di ciascuno dei Colla, della peggiore azione commessa in passato. Uno ad uno, i membri della famiglia perfetta sfilano davanti al microfono, e confessano.
Ovviamente non posso rivelare i dettagli successivi, ma posso anticipare un buon numero di colpi di scena e, soprattutto, l'esistenza di una trama tutt'altro che folle dietro alla messinscena.
Nonostante la buona partenza, il romanzo non mi ha convinto. L'ipotesi che i Colla siano vittime innocenti di una sociopatica tramonta subito: troppo banale, troppo americano. Tuttavia il
brodo si allunga eccessivamente, le continue concessioni di tempo in cambio di particolari scabrosi rompono la tensione. Certamente Morozzi riesce ad attrarre il lettore verso una congettura che non potrà essere corretta, ma ad un certo punto la soluzione si intuisce. Anche il fatto che un membro della famiglia sia il vero obiettivo del piano criminale è facilmente intuibile. Il vero momento di svolta del racconto, un'estrazione a sorte, restituisce (guarda la coincidenza!) proprio il risultato che fa gioco alle trame di Kristel: un semplice colpo di fortuna?
E poi c'è questo stile da
scrittore italiano della generazione dei quarantenni, del quale comincio ad avere le tasche piene. Chissà perché non sembriamo capaci di scrivere storie semplici, come usano i grandi autori anglosassoni. Le trame sono piene di giravolte, sembra così e invece è cosà, il lettore deve essere avvolto in situazioni inattese e dunque spesso improbabili e forzate, fino alla rivelazione della verità. Che purtroppo odora di stantio.
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