Quella dal 12 al 17 maggio sarà la settimana di
Unipertutti, tutti per l'Uni! Rimandando al sito ufficiale per le informazioni anche logistiche, mi piace l'idea di dedicare un post a questa iniziativa. Chi mi conosce personalmente sa che non sono facile agli entusiasmi, e non userò punti esclamativi a ripetizione. Piuttosto, cercherò di raccogliere qualche riflessione.
Che cos'è, nel 2014, l'università? Pur non avendo commissionato un sondaggio, immagino che molti italiani risponderebbero che l'università è un luogo dove si va a studiare dopo il liceo, per prendere la laurea. E già questa risposta, pur apparentemente sensata, è un po' svilente. Perché? Beh, soprattutto perché l'università è anche (e auspicabilmente soprattutto) un luogo dove vengono sviluppate le idee che poi gli studenti apprenderanno: è cioè il luogo dove si fa
ricerca.
Ma che vuol dire
fare ricerca? Perché dovremmo farla? Non se ne può proprio fare a meno?
Ecco, in tutta sincerità: in senso stretto, se ne può fare a meno. Dopotutto, svariate generazioni si sono succedute in epoche piuttosto barbare, nelle quali la sussistenza era lo scopo ultimo della vita. Quando c'erano una grotta o una capanna sopra la testa, e una mucca per avere latte e formaggio, si tirava avanti.
Sollevando però lo sguardo e considerando il panorama, certo non erano tutte rose e fiori: basti pensare alle malattie, al tasso di mortalità, alle condizioni igieniche. E allora sembra evidente che c'è una differenza profonda fra il verbo
potere e il verbo
convenire.
Si può vivere come bruti, ma forse "fatti non fummo". Quasi tutto ciò che ha trasformato un calvario perpetuo in una vita tutto sommato confortevole è frutto del lavoro e della
ricerca: le medicine e le tecniche chirurgiche, il motore a scoppio, il telefono fisso e mobile, internet. I pionieri del Far West, una volta scoperti giacimenti di petrolio, mandavano i figli a farsi una cultura nelle migliori università per garantire loro un avvenire di progresso e di benessere. Se lo facevano i cow-boys, magari possiamo farlo anche noi...
Ma, dice l'uomo della strada, perché sprecare soldi nella ricerca? Non è più
furbo aspettare che qualcun altro brevetti un'idea, per poi comprarne i diritti? Anche qui: sembra furbo nei primi istanti, ma diventa piuttosto sciocco nel medio periodo. Perché, insegna la teoria dei giochi, i nostri competitori non sono rimbambiti: giocano per vincere e sanno come farsi valere. Se ho avuto una brillante idea, magari te la vendo, ma te la vendo al prezzo che vale, e comunque tu resti sempre lì a dipendere dalla mia idea.
Dunque è conveniente (non strettamente necessario, ma siamo sicuri di voler partire con il freno a mano tirato e legarci ad una prospettiva di subalternità e di dipendenza?) perseguire la ricerca, e incentivarla. È un investimento e certo non l'affare per diventare ricchi in una notte, ma è un ottimo investimento a lungo termine.
Se la prospettiva che i nostri figli producano le scarpe più belle del mondo in cambio di una ciotola di zuppa non è quella che auguriamo loro, apriamo gli occhi ed entriamo nelle università. L'iniziativa
UniPerTutti è l'occasione giusta per spingere lo sguardo più in là, oltre l'orgoglio dell'ignoranza che sta relegando l'Italia ad un ruolo da comprimario nella costruzione del futuro.
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