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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

Ci vorrebbero più laureati

Quante volte abbiamo letto o ascoltato la frase del titolo? Credo innumerevoli, e l'ho appena riletta qui.
Ogni volta che qualcuno mi ripete questa ricetta salvifica, ho la tentazione di replicare in un certo modo. Talvolta soprassiedo, oggi lo metto per iscritto: tra il dire e il fare, c'è di mezzo... la materia prima.

Si dà infatti per scontato che la (supposta) carenza di laureati debba imputarsi del tutto o quasi all'incapacità del sistema universitario di aumentare la produzione. In pratica, l'università prende la materia grezza (cioè gli studenti diplomati) e li sottopone ad un trattamento automatico che sfocia nel diploma di laurea.
Ovviamente non funziona così: se la materia prima risulta inadatta (mi si perdoni la crudezza dei termini), ben difficilmente il processo produttivo finirà bene. Fuori di metafora, come si può laureare chi non vuole o chi, per mille ragioni, non ne ha le capacità?

Qualcuno è sempre pronto, anche ai livelli più alti della politica universitaria, a suggerire la scorciatoia più antica del mondo: se gli studenti faticano a laurearsi, noi dobbiamo abbassare la difficoltà degli esami. Come dire che se pochi individui sono capaci di scalare a mani nude una montagna, la soluzione è abbassare la montagna fino a ridurla a una dolce collina.

Come sempre, in Italia siamo pieni di teorie ma poveri di metodologia: ammesso di aver individuato un problema da risolvere, dove dovrebbe condurre la terapia risolutiva? Perché è facile proporre soluzioni casuali, ben più complesso è l'individuazione di un obiettivo e di una strategia coerente.

Bisogna quindi rispondere a poche domande fondamentali: l'incremento aritmetico del numero dei laureati è veramente lo scopo ultimo? Se lo è, è vantaggioso perseguirlo producendo laureati meno preparati?

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