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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Irène

Camille Verhoeven, commissario della Squadra Omicidi di Parigi, quarantenne, nano. Con uno stratagemma non particolarmente originale (l'uso della disabilità è molto diffuso tra gli autori di letteratura thriller) Pierre Lemaitre produce il primo capitolo di una trilogia poliziesca molto cupa. In questa prima avventura, il commissario Verhoeven è alle prese con un maniaco che sevizia e uccide donne imitando i più celebri assassini letterari. Coadiuvato (ma anche ostacolato, come il lettore potrà scoprire) dalla sua squadra, Camille si lancia in una caccia all'uomo disperata. Se vi state chiedendo chi sia quell'Irène che dà il titolo al romanzo, sappiate che si tratta della compagna del commissario. Introdotta al lettore come un personaggio di contorno, assume nel corso dei capitoli un ruolo decisivo e tragico.

Scritto nel 2010 ma tradotto in Italia solo quest'anno sull'onda del premiato Ci rivediamo lassù, Irène è per ammissione dell'autore un omaggio ai maestri della cosiddetta crime fiction. La tecnica del romanzo-nel-romanzo è spesso intrigante, ma per definizione sottrae originalità alla trama. Pur essendo una lettura coinvolgente e scorrevole, l'impressione complessiva è quella di un déja-vu banale, quasi la sceneggiatura per un altro film dove è sempre notte e piove a dirotto. Il finale è in linea con il cliché del polar francese: non arrivano i buoni a salvare le vittime, non c'è giustizia per i puri di cuore.

Al termine del romanzo c'è una postfazione dell'autore che mi ha fatto riflettere. Senza svelare troppi particolari, dovete sapere che le pagine conclusive trasudano letteralmente violenza raccapricciante. Come uno di voi lettori sa, ne sono rimasto turbato. Ebbene, Lemaitre scrive chiaramente nella postfazione che non v'è ragione per cui un romanzo noir debba risparmiare i dettagli più mostruosi, dal momento che l'unico fine del noir è proprio quello di raccontare la devianza e il crimine.
Mi ritengo un lettore e uno spettatore molto "americano", e apprezzo le storie che consolano. Il poliziotto, nella mia trama ideale, deve salvare gli innocenti: la realtà è già sufficientemente ricca di orrori e ingiustizie, che almeno la letteratura ci illuda e ci dia sollievo!

Ma è chiaro che ognuno ha i suoi gusti. Sono ancora indeciso se proseguire con i successivi romanzi, ma ho una certa tentazione di farlo. Giudizio: per stomaci forti, tenendo presente che è pur sempre fiction.

Commenti

  1. Sembra bello! Passa per un saluto! =)
    http://lucetta91.blogspot.it/

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