Avete nostalgia dei primi libri di Mauro Corona? Cercate un bel romanzo di formazione, pieno di quella nostalgia che non guasta mai? Allora
Paesi alti è la scelta giusta.
Terzo capitolo di una saga (che non ho ancora avuto la gioia di leggere) iniziata con
Cronache dalla valle e proseguito con
Vita e morte della montagna, l'ultima fatica di Antonio G. Bortoluzzi racconta un anno della vita di Tonìn dei Siòri. Tonin è un ragazzino che vive nel borgo montano chiamato Rive; figlio unico di sua madre Teresa e di suo padre Giovanni, affronta il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta nel 1955. Fra le montagne bellunesi non c'è sentore del
boom economico che entro pochi anni porterà definitivamente fuori dalla Seconda Guerra Mondiale l'Italia.
Lassù la vita scorre come sempre: la terra da coltivare, gli animali da accudire, la vita di paese immobile e stentata. Sono pochi gli svaghi di Tonin, soprattutto perché il padre trascorre nove mesi all'anno in Svizzera, dove lavora come manovale insieme ad altri uomini del paese. Come se non bastasse, Tonin vive in una frazione di Rive, ancora più a monte e dunque ripida, senza nemmeno lo spazio pianeggiante per un campo di bocce.
Ogni tanto Teresa spedisce il figlio a valle, per fare gli indispensabili acquisti a tutti gli abitanti della frazione: è il più giovane, dunque quello che deve lavorare maggiormente. Nell'emporio a valle lavora Emi, la figlia del padrone: Tonin sperimenta i primi turbamenti davanti ai suoi occhi luminosi e al suo sorriso incantevole.
Purtroppo i sogni del ragazzo sono interrotti dai problemi di salute della madre, da tempo malata di cuore. Tonin deve crescere, troppo presto e troppo in fretta. Nei momenti più difficili lo salveranno l'amicizia dei suoi coetanei e l'amore del padre.
Un romanzo, come dicevo all'inizio, toccante e gonfio di malinconia. È paradossale, ma nel 2016 riusciamo a sentire la mancanza di un mondo ormai cancellato dalla storia, e fatto di sudore, fatica e dolore. Quando camminiamo in montagna, fra le abitazioni e le stalle, sentiamo inevitabilmente un'attrazione per la vita semplice che là dentro si conduce. La realtà è spesso diversa, perché la montagna come luogo ameno è sempre più una finzione per turisti di città.
La vita narrata da Bortoluzzi era vera, ma forse perduta per sempre con l'arrivo del cosiddetto benessere diffuso. E, a pensarci bene, di tornare ad essere come Tonin non abbiamo davvero voglia. Quella del romanzo di Bortoluzzi è la nostalgia di ciò che non abbiamo mai vissuto, per nostra fortuna.
Una storia classica, ma ben scritta. Da leggere.
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