Ho ormai una certa qual esperienza nell'insegnamento dell'analisi matematica alle matricole di alcuni corsi di laurea. Parallelamente, ho collezionato un gran numero di libri di testo, cartacei o digitali, dai quali ho attinto per ispirazione ed esercizi.
Grossolanamente posso suddividere i manuali universitari (di analisi, ma dubito che sia una caratteristica peculiare) in due macro-categorie:
- quelli che prendono il posto del docente;
- quelli che... no.
Vediamo di elaborare, con opportuni esempi. Nella prima categoria collocherei i vari Giusti, Marcellini & Sbordone, Pagani & Salsa, ecc. Testi ottimi, che aspirano ad essere esaurienti anche per l'autodidatta. Ogni concetto/definizione è preceduto (non seguito!) da discussioni di supporto (psicologico?), come se fosse necessario convincere lo studioso/studente che è opportuno trattare quel concetto.
Derivata? Ecco la velocità, la pendenza, la retta tangente (signora mia!). Ecco il solito diagramma con quella benedetta secante che si muove (?) verso la tangente, in un afflato semi-divino.
Integrale? Ecco l'area sottesa, il rettangolo mistilineo color grigio-topo, e i temibili rettangoli inscritti e circoscritti.
Continuità? La penna non si stacca dal foglio (ma mannaggia la pupazza), il grafico non ha buchi.
Un esempio, per me molto deludente, di manuale che si è accodato con risultati quasi insuperabili, è il testo di Terence Tao. Ora, Tao è un genio assoluto, nessuno lo mette in dubbio. Però il suo libro... Lo dico: mah! Scritto nel perfetto stile
keep the customer satisfied, è il paradigma del libro che vuole riprodurre la lezione del docente come se non ci fosse un domani. Servono tre o quattro pseudo-definizioni, per parlare del limite di una successione, in un crescendo di terminologie superflue e pure dannose. E poi le dimostrazioni sono lacunose, piene di (perché?) che resteranno senza una risposta per lo studioso che legge. Terribile, ma pienamente americano.
Disclaimer: non affermo che gli autori menzionati sopra facciano tutti esattamente così. Ma la forma è quella.
Nella seconda categoria metto alcuni manuali esemplari: il "baby" Rudin, quello di T. Apostol (ma non quello tradotto in italiano per Boringhieri), quello di De Marco e - in parte - quello di Giovanni Prodi. Libri che
devono essere accompagnati dalla voce di un docente esperto, ma che costituiscono un eccellente
complemento alla lezione in aula. Per dimostrare che l'insieme
$$
A = \left\{ r \in \mathbb{Q} \mid r \geq 0, \ r^2 < 2 \right\}
$$
non ha massimo (in $\mathbb{Q}$), Rudin parte da $r \in A$ e costruisce $r' \in A$ con $r'>r$. Lo costruisce dicendo: eccolo qui!
Qualche collega si dice disturbato da questo approccio autoritario. Perché lo studente non è guidato nella scelta di $r'$? Quel è la
ratio? Rudin non lo spiega, in generale.
Però... Il docente in aula serve esattamente a questo: a
spiegare con parole, disegni, gesti, ciò che sta accadendo. Il docente non è l'oracolo che si esprime per enigmi, e a lei/lui spetta il compito di mostrare la ratio delle dimostrazioni.
In questi giorni ho pensato di seguire il manuale di Rudin per spiegare la topologia della retta reale. Il testo di riferimento (Giusti) è vago, perennemente indeciso se si debba parlare di $\mathbb{R}$ o di $\mathbb{R}^n$. Rudin è un rasoio: queste le definizioni, questi i teoremi. Punto.
Ero un po' preoccupato: da studente ho adorato il Rudin, ma qualcuno mi ha fatto osservare che non ero proprio lo studente quadratico medio sul quale tarare l'esposizione dell'analisi. E invece, ecco che gli studenti hanno risposto alle mie domande. All'inizio sono caduti nei piccolo trabocchetti delle dimostrazioni "a spanne", ma in poco tempo hanno
capito come evitarli. E in alcuni sguardi - non tutti, come giusto ed inevitabile che sia - ho colto la luce della consapevolezza di aver colto il punto dell'intera questione.
Concludo con una domanda (retorica): perché i manuali della seconda categoria sono introvabili, o comunque "antichi"? Azzardo una congettura: perché si sta sminuendo, lentamente ma inesorabilmente, il valore dell'insegnante. I manuali recenti insinuano l'illusione che si possa far tutto da soli, magari davanti al video di quell'ingegnere che spiega la matematica su Youtube. Nessuna interazione, nessuna domanda, nessuna mano alzata. Il libro è diventato un contenitore di materiale prêt-à-porter, che non necessita di intermediazioni.
Nota: spendo due parole a riguardo del manuale di Giovanni Prodi, datato ormai 1970. È un testo splendido, offuscato solo da una scelta didattica che si è rivelata infelice. Per un analista, è fondamentale imparare a lavorare con i limiti (di funzione) in termini quantitativi. Questo perché l'analisi matematica è fatta soprattutto da
stime, cioè disuguaglianze. Prodi definisce la continuità in un punto, e afferma poi che $\lim_{x \to x_0} f(x) = L$ se, ridefinendo eventualmente $f(x_0)=L$, la nuova $f$ risulta continua. Questa definizione è assolutamente equivalente a quella tradizionale, ma lo studente perde di vista tutte quelle stime e diseguaglianze che sono fondamento del limite. Il tempo ha così tolto efficacia al manuale di Prodi, che invece è elegante ed efficace per molti altri versi.
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