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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

De senectute

Io abito davanti alla casa di riposo per anziani di Cantù. Bella roba, direte voi. Questa insignificante premessa è utile per introdurre il post odierno, che si inserisce nel filone intimistico-depressivo.


Mentre ero a casa ad annoiarmi, attorno a Ferragosto, mi sono spesso affacciato al balcone per guardare le attività nel cortile del suddetto ospizio. Fra parentesi, "ospizio" è una parola tabù, ma garantisco per esperienza famigliare che quello di Cantù è a tutti gli effetti un ospizio per vecchi. Comunque, dicevo, ho osservato i parenti in visita, e gli anziani che trascorrevano lunghe ore ad ascoltare i discorsi, quasi sempre di pura circostanza. Non è stata una sorpresa, ma faceva effetto notare le espressioni di noia e di imbarazzo dei nipoti più giovani; immagino che non trovassero molto divertente un pomeriggio trascorso davanti alla sedia a rotelle di un nonno o di una nonna.


Tutto normale, per carità. Mia nonna ha passato gli ultimi anni della sua (lunga) vita nello stesso ricovero, e in condizioni mentali pessime. Anch'io ero molto imbarazzato quando la andavo a trovare, da tempo non mi riconosceva più e questo era una difficoltà oggettiva. Probabilmente però c'è una ragione ulteriore, subdola e inconfessabile, che rende le visite ai nostri vecchi tanto penose: sappiamo che, nella migliore delle ipotesi, toccherà anche a noi. Certo, esiste la possibilità di finire al ricovero senza ricevere visite o di morire giovani, ma non mi sembra una gran consolazione.


Già, perché il punto è sempre quello, la finitezza della vita. Oggi siamo (relativamente) giovani e in forma, ma domani potremmo aver bisogno di aiuto. È una prospettiva terrorizzante, che ci spinge a fare i conti con il nostro passato e con le prospettive del futuro. Solitamente questi bilanci sfociano nel sentimento che le signorine dell'ottocento chiamavanno morbosità, e allora diventano inutili. Eppure, arrivati al dantesco mezzo del cammin di nostra vita, le speranze cominciano a pesare quanto le esperienze.


Nel caldo infernale della Brianza agostana, ho fatto il malinconico esercizio, e naturalmente ho scoperto di non essere particolarmente felice e soddisfatto. A vent'anni comunque avevo sogni e aspettative che si sono lentamente miscelati alla realtà, e ho sbagliato a voler crescere in fretta. Sono stato un adolescente decisamente responsabile e maturo, amavo lo studio e gli amici, pochi ma buoni. Guardavo le ragazze e i buoni film, ma non ho mai fatto pazzie. L'amore per la scienza, e per la matematica specialmente, mi davano illusioni di un futuro appagante, leggevo le biografie dei matematici e volevo essere il più possibile simile a loro.


Ora, dopo una laurea, un dottorato (di quelli seri, per fortuna), un bel po' di gavetta e un posto da ricercatore confermato, che cosa è rimasto? Poche illusioni e troppo crudo realismo: non sarò mai un matematico famoso, e questo posso accettarlo senza rimpianti. Faccio il mio lavoro al meglio, e non sono certo un genio. Eppure, quello che manca sono le aspettative. Se tutto andrà bene, resterò ricercatore a vita, modesto sgobbone senza particolari meriti; troppo vecchio per cercare fortuna all'estero, troppo timido e indeciso per fuggire a trent'anni, navigo a vista fra i marosi di un Paese che premia gli arroganti e punisce le brave persone.


Nella prima bozza di questo post avevo inserito un paragrafo anche sul risvolto personale della mia vita. Ho deciso di tagliarlo, non mi piaceva il tono e sono troppo volubile per credere che i miei sentimenti di oggi saranno quelli di domani. Se siete curiosi... peggio per voi!

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