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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Classe 5A, vent'anni dopo

Correva l'anno 1993. Anno problematico (ma ci sono mai stati anni tranquilli, in Italia e nel mondo?), anno della maturità. La classe V A del Liceo scientifico Enrico Fermi di Cantù chiudeva il percorso iniziato cinque anni prima. Eravamo più o meno così (forse in questa foto eravamo ancora più giovani, chissà):



Vent'anni dopo, la sera del 28 novembre 2013, alcuni di noi si sono ritrovati in quel di Cucciago Beach per una pizza. Non faccio nomi per rispetto dela privacy. Eravamo solo dieci più tre professori: qualcuno vive lontano, altri hanno impegni difficili da cancellare.
Confesso un po' di agitazione: di carattere piuttosto selvatico, temevo l'effetto di quel film amarissimo di Carlo Verdone che appartiene ai peggiori incubi di ogni ex liceale. E invece è stato molto bello rivedersi dopo tanti anni. Adesso ci sono i social network, e perdersi di vista è diventato più difficile; ma stringersi la mano è tutt'altra cosa che mettere un post sulla bacheca Facebook.

Avuta conferma che in Lombardia la radler è un concetto sconosciuto, surrogato da una specie di detersivo per i piatti che si definisce panaché, la cena è trascorsa in un clima tranquillo e familiare. Certo, la vita ha assestato qualche colpo ad alcuni, ma, come ha detto il cantautore Paul Simon,
After changes upon changes, we are more or less the same.
C'erano solo tre professori: matematica, italiano e latino, educazione fisica. In qualche modo i tre professori che mi hanno segnato maggiormente: a diciannove anni ero molto indeciso fra la laurea in lettere e quella in matematica. Avevo una passione per il latino, sognavo addirittura di dedicarmi al latino medioevale; la giovanissima professoressa arrivata in IV aveva preso il posto dell'ormai dirigente scolastico destinato alla Sardegna, e questo cambiamento non mi dispiaceva affatto. Credo che avesse appena dieci anni più di noi, in pratica l'età di una sorella maggiore. In uno scatolone ho ancora i quaderni con le lezioni di letteratura italiana, che ci esponeva seguendo altri suoi appunti su un quadernetto un po' sgualcito.

Comunque l'influenza del professore di matematica ha avuto il sopravvento, e adesso posso affermare di aver fatto un'ottima scelta. La professoressa di educazione fisica, invece, mi ha segnato soprattutto fisicamente, visto che ricordo con orrore gli esercizi a corpo libero che ben pochi maschi adolescenti riescono a fare senza sofferenze di vario genere. Scherzi a parte, è stata lei a farmi giocare a pallavolo, uno sport che forse avrei dovuto scoprire prima.
Altri professori sono ormai in pensione, e qualcuno se n'è andato per sempre. È la vita, perché vent'anni sono proprio un bel pezzo di vita.

In un modo o nell'altro, tutti noi ce la siamo cavata. Il confronto fra i sogni dei (quasi) vent'anni e la realtà dei (quasi) quaranta appartiene a ciascuno, e solitamente lascia un po' di amarezza. Ma ci è andata ragionevolmente bene, abbiamo avuto opportunità che i vent'anni di oggi non promettono più.

È sempre complicato spiegare perché le amicizie scolastiche tendano a dissolversi rapidamente. Non posso dire con assoluta certezza che fossimo un gruppo unito, perché non ho mai avuto un'affettività sviluppata; tuttavia mi sembrava che ci fosse affiatamento, soprattutto verso la fine del liceo. Poi ci si perde, e probabilmente è un distacco che dispiace ma che usiamo per crescere e diventare adulti. Quando il tempo ha ingrigito i capelli (dei fortunati che ancora li hanno) e abbiamo preso possesso della nostra esistenza, c'è un margine per ritrovarsi.
Alla fine, nel gelo di una sera siberiana, ci siamo salutati con la promessa di non lasciar passare altri vent'anni. Chissà, magari riusciremo a mantenerla. In fondo sarebbe proprio bello.

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