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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Immaturi digitali: parte seconda

Dopo aver letto il mio ultimo post, R. mi scrive su Facebook:
Simone, il tuo post è, almeno per me, come sempre ben scritto. Parla però di qualcosa che per far parlare di sé equivoca, sapendo di farlo. Nativo digitale infatti può significare tutto meno che i suddetti tali ne sappiano qualcosa di informatica. Del resto, per esempio, io sono nativo automobilista, e a stento riconosco un auto da una moto. E guido benissimo, peraltro...
Rileggendo il suddetto post, ho capito di aver commesso il tipico errore di chiunque cerchi di comunicare: ho dato per scontato che il lettore sapesse già quello che avevo in mente. Quindi vorrei aggiungere alcune considerazioni.

Innanzitutto, il mio intervento ribadiva che l'articolo di Paolo Attivissimo era l'ufficializzazione della scoperta dell'acqua calda. È vero che ogni congettura dovrebbe essere sottoposta ad una conferma scientifica, ma resta il fatto che in questo caso la (mia) congettura è stata pienamente confermata. Ovviamente, in ogni discorso, occorre fissare gli assiomi e le definizioni, e Attivissimo assumeva esattamente quello che i mass media ci inducono a credere; e cioè che nativo digitale = piccolo genio dell'informatica. I suoi argomenti tendono a confutare questa identità, il che sembra dimostrare esattamente quello che R. suggerisce: la definizione di nativo digitale non può essere quella che l'uomo della strada immagina.

Ma, lo dico nella speranza che R. non se la prenda, Attivissimo (e anch'io, si parva licet) muove anche da un assioma ben più significativo. È sacrosanto che R. sia un nativo automobilista, che mia mamma sia una nativa utilizzatrice della macchina lavatrice, e che io sia un nativo telespettatore. Dov'è allora la meraviglia? Beh, diciamo che tutti ci saremmo aspettati qualcosa di più, dalla cosiddetta rivoluzione informatica. Se questa rivoluzione si riduce alla familiarità con un nuovo elettrodomestico, poveri noi.

Quando, ormai vent'anni fa, tutti annunciavano l'inizio di una nuova era fatta di informazione aperta, libera, interattiva. Una nuova era fatta di persone più consapevoli e più capaci di usare l'intelligenza artificiale in corso di sviluppo per migliorare le condizioni dell'umanità. Quando, dicevo, tutti parlavano di questo, non credo che pensassero a sedicenni brufolosi che si imbambolano davanti alle icone del nuovo telefonino senza avere la minima consapevolezza di tutto quello che c'è dietro il touchscreen.

La disamina di Attivissimo, a mio parere, è l'analisi di una sconfitta dell'utopia. Ci aspettavamo l'homo technologicus, e invece ci ritroviamo una versione 2.0 dell'homo televisivus. L'informatica, la programmazione, il software libero, i protocolli TCP/IP, sono sempre conoscenze di nicchia scavalcate dall'uso della scienza informatica come elettrodomestico.
Ecco, adesso non voglio cedere al rimpianto nostalgico dei bei tempi che furono. Tutte le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche escono da poche menti brillanti ed entrano nelle menti quadratiche medie per banalizzazione. Potrei ribattere a R. che mio nonno, classe 1913 e dunque automobilista non nativo, sapeva smontare e riparare un motore a scoppio. R. ed io probabilmente non sappiamo nemmeno il nome dei vari pezzi che vivono nel cofano delle nostre automobili.
Ma sarebbe un argomento debole, perché la naturale conseguenza sarebbe la pretesa di un essere umano onnisciente, padrone di tutta la tecnica dalla selce al silicio.

Forse, più semplicemente, dobbiamo accettare che il progresso non funziona come ci piacerebbe. Internet non cambierà l'umanità più di quanto l'abbiano cambiata il telefono e la televisione. Io sono nato insieme alla televisione a colori, ma confesso di ignorare quasi completamente i principi fisici alla base delle trasmissioni analogiche e digitali. Così va il mondo, e mi piace sempre di più questa frase:
Il progresso è una cosa meravigliosa. Peccato che stia durando da troppo tempo.
Non l'ha detta un filosofo o un bieco reazionario. L'ha detta l'attore Joe Mantegna in un episodio della serie Criminal Minds.

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