Ventidue dicembre, saluto gli studenti (che mi offrono una fetta di salame di cioccolato) e torno in dipartimento. Anche quest'anno è Natale.
Un Natale inconsueto, con un clima che ricorda più la Pasqua. Fra poco tornerò a casa per le vacanze, i miei corsi si avviano alla conclusione e il secondo semestre sarà più tranquillo.
In queste sere, quando mi infilo il pigiama e mi appresto a dormire, talvolta mi domando che cosa sia per me il Natale. La prima immagine che appare davanti all'occhio della mia mente è la sala da pranzo della casa dove sono cresciuto.
Avevamo solo due stanze, io dormivo in un divano-letto in soggiorno. L'immagine che ricordo non è quella di un pranzo con i parenti: è quella della mia camera-soggiorno la notte di Natale. Ero piccolo, nessun vescovo mi aveva spiegato che i regali li portano mamma e papà (questa la capite solo se siete di Como, quindi rimando alla nota a pié di pagina), così cercavo di svegliarmi più volte per controllare l'arrivo di Gesù Bambino.
Ricordo che una volta ho aperto gli occhi e tutto era come sempre. Dopo essere stato vinto dal sonno, li ho riaperti e, laggiù dietro al tavolo e alle sedie, c'erano i pacchetti con i miei regali!
In effetti questa immagine era per me abbastanza inconsueta: la mia famiglia passava i giorni delle Feste a Cunardo, dove mio nonno aveva la casa paterna che ci lasciava utilizzare per le vacanze. Non so perché quell'anno siamo rimasti a Cantù, ma ricordo benissimo la sequenza dei ricordi che vi ho descritto. O almeno credo, perché si sa che i nostri ricordi sono sempre filtrati dal cervello; ma che importa?
Poi sono cresciuto, dai regali depositati in punta di piedi dai miei genitori sono passato ai regali acquistati senza misteri in un negozio. Fino a vent'anni circa ho fatto l'albero, a casa del nonno. Un albero artificiale e polveroso, ricoperto sempre dagli stessi addobbi scheggiati e strapazzati. Mio nonno si è ammalato, e l'albero è finito in un sacco nero in soffitta. O forse in discarica, chissà. Sono cresciuto e anche un po' invecchiato senza alberi né statuine.
Quest'anno è diverso: con F. abbiamo fatto un meraviglioso albero a casa sua, lo abbiamo abbellito con le palline dorate e le luci intermittenti. Qualcuno dei suoi gatti ha apprezzato la novità, ma in fondo hanno diritto anche i felini ad avere un regalo! A casa mia c'è un piccolo presepe intagliato nel legno, che abbiamo acquistato insieme.
Prima o poi (spero più prima che poi) avremo un albero e un presepe, nella casetta in Canadà (con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà) che desideriamo: le porte di legno bianco, due biciclette nell'ingresso, i mobili di legno chiaro, e uno studiolo per pensare. Vero F.?
Ecco, sento di essermi finalmente riconciliato con lo spirito del Natale. Che è poi uno spirito di speranza, di tranquillità, di famiglia. Un albero, un gatto che ne annusa pericolosamente il basamento, le statuine di gesso non sono il Natale; però ne rappresentano in modo tangibile il senso, almeno per me.
Allora, come usa dire, se non ci vediamo prima... Buon Natale!
Nota per il lettore: qualche anno fa, il vescovo di Como Monsignor Maggiolini si è fatto pubblicità dicendo ai bambini che erano alla messa di Natale in cattedrale che i regali li comperano i genitori. I quotidiani raccontano di pianti e disperazione fra i banchi, mentre i genitori non sapevano che fare per calmare i pargoli disillusi. Di quel vescovo rimane una targa in un piccolo piazzale accanto alla ferrovia, che i comaschi utilizzano oggi per parcheggiare l'auto quando vanno in centro. Invece, come tutti sappiamo, i bambini comaschi continuano a credere a Gesù Bambino e magari a Babbo Natale.
Sic transit gloria mundi.
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