Sabine Hossenfelder è una fisica teorica tedesca, più o meno della mia generazione. Un paio di anni fa si è divertita - se così possiamo dire - a scrivere un libro dal titolo provocatorio: Lost in math. L'editore Raffaello Cortina ne ha curato la traduzione per il pubblico italiano nel 2019.
La tesi centrale di questo corposo saggio è che la (ricerca della) bellezza (matematica) ha portato i fisici (teorici) fuori strada. Cerco di spiegarmi anche per i non addetti ai lavori, premettendo che la mia formazione di matematico può influenzare il mio giudizio. Partiamo un po' da lontano: che cos'è la fisica? Potremmo dire che la fisica è la scienza che analizza i fenomeni naturali e cerca di formulare leggi universali per fare previsioni. Chiunque abbia studiato un po' di fisica elementare a scuola ricorderà alcune parole-chiave: cinematica, calore, elettrostatica, relatività. Certo la materia è molto più ricca, ma ci siamo capiti. E la fisica teorica?
Ricominciamo: la fisica cerca di spiegare (e prevedere) alcuni tipi di fenomeni naturali. Tutti vediamo che una palla di cannone disegna nell'aria una traiettoria "parabolica", e che la stessa palla di cannone cade dalla torre (di Pisa) incrementando nel tempo la velocità. Queste sono osservazioni di fenomeni naturali. Poi arriva il fisico teorico, e propone leggi matematiche che possano contestualizzare i predetti fenomeni in un quadro universale. In pratica i fisici teorici arrivano quando i fisici sperimentali vanno a riposarsi.
Ricordiamo sempre che le teorie fisiche sono soggette ad un giudizio universale: quello dell'accordo con i dati sperimentali. Chiunque può immaginare che una palla di cannone percorra all'infinito una traiettoria rettilinea, peccato però che nel mondo reale non accada. Pertanto la teoria secondo cui un proiettile sparato nel mondo reale debba procedere per sempre su una traiettoria rettilinea è una teoria in disaccordo con i dati sperimentali. Una teoria di cui non vale la pena di occuparsi.
Tutto chiaro, no? Appunto, ci ammonisce Sabine Hossenfelder: no. Nel campo della fisica quantistica i dati sperimentali sono sempre più difficili da raccogliere. E, soprattutto, costosi: altro che la torre di Pisa o la mela di Newton, ci vogliono milioni di dollari per avviare certi tipi di esperimenti fisici. Come se non bastasse, le particelle sub-atomiche non si possono toccare con mano, e talvolta non si vedono affatto. Come possono lavorare i poveri fisici teorici, in queste condizioni?
Facendo lavorare la fantasia, e con tanta matematica. Siamo arrivati alla pietra dello scandalo per l'autrice, cioè l'innamoramento dei fisici teorici nei confronti della matematica. Hossenfelder racconta che una notevole percentuale dei fisici teorici al lavoro nel mondo produce letteratura auto-referenziale, buttando nuovo carbone nella caldaia di teorie che nessuno ha sottoposto al giudizio della realtà. Ipotizziamo che sia così, e divertiamoci a trarre conseguenze dalle nostre congetture. Chi ci dirà se stiamo facendo un esercizio sterile?
Arrivati a questo punto bisogna dire che i matematici non giudicano tutto ciò scandaloso. La matematica è una teoria avulsa dal confronto con la (nostra) realtà, così come la filosofia. Noi matematici sappiamo risolvere equazioni algebriche passando per numeri che non esistono nell'aritmetica elementare: i numeri complessi. Quando si cerca una formula per risolvere le equazioni algebriche di terzo grado, ci si imbatte nelle radice quadrata di un numero negativo. Se fossimo fisici, potremmo manifestare disappunto per questa mancanza di bellezza; ma siamo matematici, e tutto quello che stiamo facendo è perfettamente coerente.
L'idea di bellezza appartiene alla sfera delle opinioni personali, giacché non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Non ci stupisce che lanciare questa categoria personale sul ring della fisica teorica finisca per introdurre i presupposti di una battaglia di opinioni. L'autrice del libro si impegna a dimostrare che è proprio così che funziona, male, la fisica teorica contemporanea. Troppe persone si ostinano a lavorare per decenni su teorie che non hanno riscontro sperimentale, soltanto perché le considerano belle. E intanto il tempo se ne va, come cantava il poeta. Stiamo spiegando il mondo, o stiamo giocando con le bambole?
La lettura di questo libro mi ha riportato ai beati anni della gioventù, quando dovevo decidere a quale corso di laurea iscrivermi. Ho puntato direttamente sulla matematica, perché l'idea che per fare fisica si dovesse cercare riscontro nel reale mi dava la claustrofobia. Che male c'è a studiare gli spazi euclidei di dimensione qualunque, per quanto tutti noi viviamo in dimensione tre? Ma questi, è vero, sono ragionamenti che non possono appartenere alle scienze sperimentali. Se il popolo non ha pane, il re può proporre brioches. Ma nel mondo reale si finisce sulla ghigliottina. Per fortuna la matematica è più tollerante, almeno se fatta con lo stomaco pieno.
Che dire del libro? Confesso che le prime pagine mi hanno infastidito, perché Hossenefelder assume un tono vittimistico e vagamente spocchioso. Vaga nell'aria un profumo di insoddisfazione, di vorrei ma non posso, e il lettore non specialista potrebbe reagire con insofferenza. Se non ti piace il tuo lavoro, faresti meglio a cercartene un altro, si dice di solito in questi casi.
E' invece importante superare la visione da artigiano della Brianza, che lavora a testa bassa senza farsi troppe domande. La scienza sperimentale non dovrebbe trasformarsi in scienza speculativa, magari senza nemmeno dichiararlo con onestà. Alla fine chiudiamo l'ultima pagina di un saggio molto istruttivo e di fondamentale ammonimento, che può spingerci alla riflessione su ciò che studiamo e su ciò che dovremmo studiare.
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