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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Sciopero?

Sciopero?

 

Da parecchio tempo volevo scrivere qualche commento sul tema dello sciopero, e la proclamazione dello sciopero generale del 6 settembre mi offre l'occasione. Naturalmente non parlerò dello sciopero in quanto diritto costituzionale, bensì della sua utilità per alcune categorie di lavoratori.

 

Innanzitutto, lo sciopero si caratterizza come astensione dal lavoro per un determinato periodo di tempo (anche indefinito, e si parla di sciopero ad oltranza), e secondo le leggi italiane deve essere proclamato da una rappresentanza regolare dei lavoratori; questo significa, concretamente, che il singolo lavoratore non può mettersi in sciopero senza l'avallo di un'organizzazione sindacale. Per sgombrare il campo da possibili equivoci, premetto che il mio giudizio sull'istituto dello sciopero è totalmente positivo. Tuttavia, per spiegarne alcune criticità dobbiamo inquadrare meglio il meccanismo sul quale si regge.

 

Lo schema sintetico è solitamente questo: un datore di lavoro impone particolari condizioni lavorative che i lavoratori giudicano inaccettabili. Allora le rappresentanze sindacali proclamano uno sciopero. Perché? Per danneggiare il datore di lavoro, che perderebbe seccamente un certo numero di manufatti (intesi qui in senso lato). Per fare un esempio: se Fiat chiede ai suoi operai di lavorare quindici ore al giorno, gli operai scioperano per otto ore e Fiat perde otto ore di produzione, senza speranza di recuperarle. Ne consegue che lo sciopero è un'arma formidabile nelle mani dei lavoratori (attraverso le rappresentanze sindacali, come detto).

 

Questo schema appare indebolito quando i lavoratori si occupano di servizi alla comunità. Prendiamo un dipendente comunale, magari dell'ufficio anagrafe. Tipicamente, questo lavoratore si avvale di un contratto nazionale di lavoro, che viene negoziato fra l'ente pubblico (o lo Stato) e i sindacati di categoria. Supponiamo che questi sindacati proclamino otto ore di sciopero, anche per la ragione più sacrosanta. Il risultato è che i cittadini-utenti non possono usufruire dei servizi anagrafici che hanno anticipatamente pagato con una parte delle proprie tasse (sorvoliamo qui sulla piaga dell'evasione fiscale); è piuttosto improbabile che lo Stato sia sensibilmente danneggiato dallo sciopero: e in effetti la presunta efficacia dello sciopero (dal punto di vista del lavoratore) consisterebbe nel senso di solidarietà dei cittadini-utenti, che dovrebbero comprendere le ragioni degli impiegati dell'anagrafe e attuare qualche forma di rivalsa (quale?) verso lo Stato. Insomma, i cittadini-utenti dovrebbero capire che la colpa dei disagi patiti durante lo sciopero (niente certificati di esistenza in vita, niente cambio di residenza, niente rinnovo della carta di indentità, ecc) ricade sullo Stato oppressore, e non già sui lavoratori comunali. Capite bene che è un meccanismo troppo contorto per essere efficace, ed effettivamente i dipendenti pubblici hanno perso, negli ultimi anni, quasi tutto il potere contrattuale acquisito. Migliore è la situazione dei dipendenti pubblici che si occupano di settori ad altissimo impatto sulla vita quotidiana: sanità, trasporti (ma fino ad un certo punto), giustizia, ordine pubblico, ecc. Uno sciopero ad oltranza dei magistrati metterebbe in ginocchio il Paese, e dunque i magistrati si accontentano di annunciare un possibile sciopero per ottenere l'ascolto dello Stato. Non parliamo neppure delle forze dell'ordine: se scioperasse la Polizia (i carabinieri sono militari, e non hanno diritto di sciopero), sarebbe un disastro. Non possiamo dire che i poliziotti navighino nell'oro, ma senza dubbio hanno un potere contrattuale superiore a quello di un dipendente comunale, o di un professore di scuola.

 

Già, il professore di scuola. Bisogna sapere che, alcuni anni fa, il diritto di sciopero nella scuola è stato pesantemente limitato da una serie di leggi apparentemente ragionevoli. Capiamo bene che una rivendicazione sindacale non può lasciare a casa milioni di studenti, giacché il diritto all'istruzione è garantito al pari di quello di sciopero. Per conciliare le due esigenze, è stato stabilito che i docenti delle scuole di ogni ordine e grado possono scioperare solo ad alcune condizioni, tese a garantire i diritti superiori degli studenti. Tutto questo poteva anche andare bene, negli anni lontani in cui la figura dell'insegnante era (giustamente) considerata fondamentale ed insostituibile. Una diffusa decadenza dei costumi ha fatto precipitare l'insegnante nel purgatorio dell'indifferenza, se non nell'inferno del pubblico ludibrio. Mal pagati, sbeffeggiati dal potere politico (curiosamente rappresentato da individui di bassa scolarità e dubbia intelligenza), privati del sostegno delle famiglie, gli insegnanti hanno subito un vero tracollo nel trattamento sindacale. Non sembra imminente un recupero del buon senso e delle necessarie tutele in campo lavorativo; troppi pensano che gli insegnanti lavorerebbero anche gratis, perché amano la professione come se fosse una missione.

 

E veniamo infine alla categoria dei lavoratori della ricerca, alla quale mi pregio di appartenere. Ricercatori e docenti universitari (o di enti di ricerca) ricevono uno stipendio dalla propria università o dal proprio ente, e sono tenuti a svolgere attività di ricerca e di insegnamento. Per capire quanto sia simbolica (salvo casi particolari di cui parlerò fra poco) l'adesione allo sciopero per questi lavoratori, vi propongo un confronto fra un 6 settembre ordinario e un 6 settembre di sciopero, adattato al mio caso.

 

1) Se il 6 settembre fosse un giorno lavorativo qualunque, mi alzerei, farei colazione, prenderei il treno, e mi chiuderei in ufficio a cercare di dimostrare qualche teorema. Ad una certa ora del pomeriggio prenderei il treno e tornerei a casa. Nella migliore delle ipotesi, avrei fatto qualche passo avanti nell'analisi di un problema matematico.

 

2) Se il 6 settembre fosse (come ormai probabile) un giorno di sciopero generale, mi alzerei, fare colazione, non prenderei il treno (perché' probabilmente i ferrovieri sarebbero in stato di agitazione), mi metterei alla scrivania e cercherei di dimostrare qualche teorema. Ad una certa ora del pomeriggio smetterei e mi riposerei prima di cena. Nella migliore delle ipotesi, avrei fatto qualche passo avanti nell'analisi di un problema matematico. Ah, certo, potrei anche andare a manifestare in piazza a favore dello sciopero, per quanto il concomitante sciopero dei trasporti renderebbe disagevole la prospettiva.

 

In entrambi i casi, lascerei nel portafoglio della mia università circa 140 euro. Sapreste individuare il danno arrecato al mio datore di lavoro, in caso io scioperassi? Se ci riuscite, fatemelo sapere, perché io non ci riesco.

 

Come promesso, esiste una possibilità di danneggiare la controparte (e già dovremmo discutere se la giusta controparte sia la mia università, il governo, o chi altro ancora), e questo avverrebbe se il 6 settembre avessi impegni istituzionali: lezioni, sessioni d'esame, riunioni, ecc. Se perdessi una lezione, ricadrei dritto dritto nell'esempio dell'impiegato dell'anagrafe, ma potrei anche accettare questo errore nell'individuazione del mio avversario. Una sessione d'esame, forse, dovrebbe essere recuperata (non ne sono certo, dovrei consultare qualche esperto di diritto accademico): sarebbe come chidere ad un operaio Fiat di recuperare gratuitamente il lavoro non svolto durante il giorno di sciopero. Una pura follia. Infine, le riunioni accademiche sono talmente vaghe e volatili che solitamente vengono rinviate alla settimana successiva, senza che il sistema se ne accorga.

 

Posso aver sbagliato, forse non ho capito niente, ma ancora mi chiedo a che titolo regalare 140 euro del mio stipendio allo Stato, senza causare alcun danno. Esiste certamente lo spirito di solidarietà fra i lavoratori, e perfino la strategia di aumentare i numeri delle adesioni alla protesta.  Tuttavia, la certezza di perdere 140 euro non sembra poter bilanciare la speranza che lo sciopero possa convincere lo Stato a cambiare idea; purtroppo le grandi manifestazioni di piazza non sembrano più capaci di impressionare i governi, e qualche volta è anche meglio così.

 

La morale di questo lungo discorso è che uno sciopero, per essere appetibile, deve garantire che le condizioni fondamentali siano soddisfatte: io rinuncio ad una parte dello stipendio per danneggiare il mio datore di lavoro, e spero che il danno lo convinca a riaprire le trattative. Altrimenti, scusate la brutalità, preferisco lavorare e prendere lo stipendio.

Commenti

  1. Caro Simone,

    ti mancano alcune condizioni al contorno. Lo sciopero del 6 è generale. Mentre tu (ed io) non arrecheremo alcun danno allo Stato, non partecipando allo sciopero arrechiamo un danno all'operaio delle Rubinetterie Riunite di Olgiate, che invece, scegliendo lui di scioperare, ci sta rimettendo.

    MA

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  2. Ma l'operaio delle Rubinetterie di Olgiate non mi paga l'abbonamento del treno. A un certo punto, bisogna anche valutare i pro e i contro. Per dirla tutta, non ho fiducia negli effetti di questi scioperi.

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