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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

Il gatto

Il titolo si riferisce all'ultimo romanzo duro pubblicato da Adelphi



La trama è nota: un uomo ed una donna, già avanti nell'età e vedovi, decidono di sposarsi per alleviare le rispettive solitudini. C'è però di mezzo un gatto, quello del titolo, che accende la scintilla del dramma. Il resto del racconto, che non voglio svelare per rispetto a chi volesse leggerlo, è una ripida discesa verso l'odio e il rancore.
Sappiamo che Georges Simenon era un maestro della miseria umana, ma questa volta arriva al culmine. Assistiamo a feroci dispetti, a crudeli vendette, a miserabili fughe; il tutto circondato da appartamenti gelidi, televisori sintonizzati sulle partite di calcio, bistrot puzzolenti, piedi nudi nelle pantofole (chissà perché Simenon aveva questa fissa), e l'immancabile sospetto di avarizia.
Niente di nuovo, per il lettore affezionato del maestro belga. Eppure c'è un riflesso malsano nel gioco del silenzio che i due protagonisti si impongono per tutto il libro, e c'è un risvolto penoso nella ricerca di affetto fra le braccia di una ex (?) prostituta che serve liquori al bar del quartiere. Non sono le parole crude o le immagini desolanti a darci un senso di malessere: è la consapevolezza che la storia fra questo uomo e questa donna è semplicemente il peggior incubo che potremmo immaginare. La famiglia, che ci sforziamo di associare all'idea di un rifugio sicuro ed accogliente, si trasforma in una prigione, e addirittura in un luogo di tortura psicologica. Sono la paura di morire da soli, il terrore di essere avvelenati dalla parsona che credevamo di amare, a farci sprofondare nell'angoscia mentre leggiamo. E' possibile condividere un appartamento con qualcuno che odiamo fino ad immaginarne la morte? Quanto potremmo sopportare questa situazione?

Nelle ultime pagine la narrazione stempera la tensione e il disgusto creato all'inizio. Ma sul terreno resteranno le macerie di un'illusione distrutta dalla realtà. Una curiosità: l'episodio che scatena la furia dei due protagonisti resta per sempre sullo sfondo, ma Simenon non esclude la possibilità - invero crudele - che si sia trattato di un malinteso.


Questo libro è stato trasposto sul grande schermo dal regista Pierre Granier-Deferre nel 1971. Il film Le chat, difficilmente reperibile in Italia, è interpretato da Simone Signoret (che appare in copertina in una scena) e da Jean Gabin.



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