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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Shit times (tempi di m**da)

Ieri sera, all'ennesimo telegiornale che paventava tempi grami per tutti noi, mio padre è sbottato: "Dove sarebbe questa miseria, se le strade sono piene di automobili da 30000 euro?"
Facciamo chiarezza: mio papà non ha mai votato Berlusconi, non ha mai votato a destra, e posso definirlo un "moderato di sinistra". Con l'andare degli anni, si è rassegnato alle disuguaglianze del capitalismo monopolista, probabilmente anche per l'influenza della cultura cattolica repressiva in cui tutti noi brianzoli siamo cresciuti.
L'apparente paradosso delle sue affermazioni, comunque, è meno profondo di quello che potremmo pensare. In fondo è abbastanza vero che, almeno in molte realtà italiane, il temuto immiserimento non è (ancora) arrivato. Non siamo alla frase "le pizzerie sono tutte piene" del povero Silvio, ma siamo estremamente lontani dalle durezze della vita di cinquant'anni fa. Perché è proprio questo che voleva sottolineare mio padre. Nel primo dopoguerra (mio papà è nato nel 1939) a Cantù si viveva in condizioni che noi "giovani" fatichiamo perfino a concepire. La mia famiglia paterna, sostenuta solo da mia nonna, vedova con due figli a venticinque anni, tirava avanti in una casa senza riscaldamento (eccetto la stufa per cucinare), d'inverno si formava il ghiaccio sulle finestre, la temperatura in camera da letto era forse di 10 gradi centigradi, a Natale era una festa perché la mamma portava a casa i mandarini e qualche castagna. Normalmente mio papà e mia zia mangiavano tanto pane e tanta minestra, la carne era un lusso che mia nonna cercava di concedere ai bambini almeno una volta alla settimana, con notevoli sacrifici.
Sembra un romanzo di Dickens, ma era la (triste) quotidianità di quei tempi.

La provocazione di mio padre era questa: quanti italiani hanno già dovuto vendere l'auto, i cellulari, qualche mobile di casa? Quanti hanno disdetto la fornitura di metano e vivono al freddo? Quanti nutrono i figli con il pane bagnato, per riempire la pancia a poco prezzo? D'accordo, ci sono tante (troppe) situazioni spaventose di povertà estrema, ma è anche vero che ci siamo abituati a giudicare irrinunciabile ciò che è un piccolo lusso. Era mai possibile illudersi di cambiare macchina ogni tre anni, facendo un mutuo ogni volta? Era concepibile comprare un telefonino all'anno a ciascun figlio, o spendere cinquanta euro al mese in cazzeggio telefonico? Ci rendiamo conto che il possesso di un'automobile equivale, nell'arco di dodici mesi, quasi a due mensilità di uno stipendio "normale"?

Certo, i cittadini USA consumano quasi il 70% delle risorse naturali di tutta la Terra. È bello, ci si sente ricchi e potenti. Ma quanto potrà durare l'illusione del benessere a spese delle generazioni future? Temo che, per amore o per forza, stia arrivando il momento di capire che il denaro non fa la felicità; il vero benessere non è l'arricchimento senza freni a discapito dei più deboli, bensì la sicurezza di poter affrontare le difficoltà senza drammi. Non ci servono tre smartphone e due suv a testa: ci serve prima di tutto la testa.

Commenti

  1. quoto! e in verità mi auguro anche
    un default, cosi, per tornare con i
    piedi per terra...

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  2. Sulla faccenda del default, io sono scettico. Paradossalmente un default può essere una spinta a risorgere, cercando di capire le ragioni che hanno portato al disastro. Però temo che l'Italia non ne avrebbe le capacità, se non grazie ad un nuovo piano Marshall. Ma il circolo vizioso del debito tornerebbe in vita, e saremmo al punto di partenza.

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