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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Capire: verbo transitivo

Capire è uno dei verbi più ipocriti della nostra lingua. Alzi la mano chi non ha mai osservato l'uso improprio e peloso di questa parola nei dibattiti televisivi e sui giornali.

Una prima ipocrisia la conosciamo tutti: a scuola dicevamo "non ho capito" per mascherare un più rischioso "non ho studiato".

Professore: "Secchi, ma non hai studiato la fotosintesi clorofilliana?"

Io: "L'ho studiata, ma non l'ho capita!"

Ma, tutto sommato, si trattava di un abuso comprensibile: se ripenso ai ritmi di studio imposti dalle scuole superiori, mi chiedo come io abbia fatto a uscirne vivo. Invece, l'abuso più fastidioso è quello proposto dai vari tuttologi che commentano i fatti di cronaca. Un adolescente ha sterminato la famiglia? Dobbiamo capire, bisogna capire, occorre sforzarsi di capire. Ma capire che cosa, scusate? Non era assodato che l'uomo gode del libero arbitrio? Se Adolf Hitler era lievemente indisposto verso alcune minoranze etniche, dobbiamo sforzarci di capirne le ragioni?

Già, perché siamo la patria del perdonismo e della remissione dei peccati. Se un essere umano commette un reato, partiamo dal presupposto che tutta la società non ha saputo capire. Che c'è da capire, a parte il rispetto delle regole e delle leggi elementari? Se da bambino ti spiegano che rubare è illecito, tocca a te decidere se diventare un fuorilegge. Anche perché, mediamente, vale la frase storica
Le leggi esistono per non farti pensare.

Se seguite il mio blog, dovreste ricordare chi le ha pronunciate. Ma in Italia no, noi dobbiamo capire e magari fustigarci perché c'è qualcuno che non ha capito. Finché si parla di bambini, posso condividere; se parliamo di adulti di normale intelligenza, allora diventa una reazione pusillanime. Sembra che ci spaventiamo davanti alla prospettiva di punire chi sbaglia, vogliamo far capire a Landru che l'amore coniugale è un bene supremo e da secoli ci vantiamo dei delitti e delle pene che sappiamo bilanciare con maestria.

Peccato però che il senso civico degli italiani sia miserando, e che ammiriamo segretamente gli evasori fiscali e i furbetti del quartierino. Ci ostiniamo a confondere la caritas cristiana (assolutamente lecita e commovente) con l'amministrazione della giustizia civile e penale. Tutto in nome della comprensione, della speculazione filosofica sulle ragioni profonde. Siamo poi così certi che esista sempre qualcosa da capire?

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