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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Ma tu mi googli?

Pare che negli Stati Uniti il verbo to google sia diventato fra i più popolari. Ovviamente significa cercare informazioni su una persona usando Google, o qualunque altro motore di ricerca.
E pare anche che la nostra riservatezza, che in italiano si chiama privacy, sia ormai un ricordo del passato: tutta la nostra vita, dice la massaia, è a portata di tastiera, non abbiamo più segreti né li avremo più. Leggiamo e ascoltiamo questa litania da ogni buon sociologo da talk show, e il pubblico più anziano si appresta a tranciare giudizi su quella porcheria di internet, il luogo ideale per pedofili e maniaci di ogni risma.

E allora ho provato: ho stilato una lista di amici d'infanzia e di compagni di classe, e li ho google-ati. Il risultato? Sconfortante. Pur avendo escluso amici e colleghi legati alla mia professione, che incoraggia la pubblicità del curriculum e delle attività professionali, forse il 50% dei miei compagni di liceo è presente su Facebook. Qualcuno ricordo che c'era ma è successivamente scomparso, quasi nessuno usa Twitter, e blog o siti personali sono vere rarità. Di qualcuno restano tracce inquietanti di natura giudiziaria, sebbene risalenti al tempo che fu. Altri, semplicemente, non esistono nel cyberspazio.

Dei miei compagni di classe alle medie inferiori non ho trovato alcuna informazione. Avendo fatto una ricerca superficiale, sicuramente molto mi è sfuggito. Ma già il fatto che, su 25 individui, praticamente nessuno sia reperibile facilmente in Rete mi sembra notevole. Peggio ancora se cerco i compagni di classe delle elementari. Sono passati più di trent'anni, due di loro sono morti vent'anni fa in incidenti stradali; gli altri, fatta eccezione per un paio di persone che ho frequentato fino all'età adulta, sono evaporati. Credo sia più facile incontrarli casualmente al centro commerciale, piuttosto che in internet.

Infine, con un po' di nostalgia, ho cercato notizie su qualche amico del paese di mio nonno, dove ho trascorso circa venti estati della mia vita. Ancora una volta qualcuno ha un profilo Facebook, di altri non ricordo il cognome (non serviva, per giocare a pallacanestro o a calcio al parco), mentre profili digitali più impegnativi (siti personali o aziendali, blog, ecc.) sembrano essere ignorati. Qualcuno ha un'attività imprenditoriale, ma tutto si limita ad un numero di telefono e ad un indirizzo civico.

Insomma, pure al netto delle imprecisioni che una ricerca così ristretta e superficiale necessariamente comporta, sembra improbabile l'allarmismo sulla mole di dati sensibili che rendiamo pubblici grazie ad internet. Come ho detto, forse provengo da un ambiente tradizionalmente riservato e schivo, quella provincia brianzola e comasca abitata da persone introverse e poco socievoli. Tuttavia resta la sensazione che la mia generazione sia rimasta ai margini della vita digitale. Per noi il telefonino è arrivato quando frequentavamo l'università o lavoravamo da anni, mentre internet è stata una scoperta dell'età adulta: io stesso ho utilizzato la posta elettronica dopo i ventiquattro anni, quando sono stato ammesso alla SISSA per il dottorato. I miei coetanei che non hanno proseguito gli studi probabilmente hanno visto la Rete come una forma di svago più che di lavoro, e quindi hanno lasciato meno tracce negli archivi elettronici. Non darei troppo peso al cosiddetto digital divide economico, dal momento che un computer e un modem non sono mai stati fuori dalla portata di acquisto, dalle mie parti.

Internet è tante cose, così tante che pare difficile azzardare una definizione. Ma, in ultima analisi, lo usiamo principalmente perché ci serve o perché ci piace. In mancanza di queste condizioni, la vita continua senza ADSL e senza social network. Io stesso, ad esempio, possiedo uno smartphone che utilizzo prevalentemente per leggere la posta elettronica; odio telefonare al cellulare e mi infastidiscono i telefonatori incalliti. In questo senso, sono molto anziano, e considero il telefono cellulare come uno strumento per le emergenze, non certo per la routine. Immagino che lo stesso discorso valga, per altre persone, relativamente all'uso di internet. Mi piacerebbe però sapere se la situazione sia radicalmente diversa per le generazioni più giovani.

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