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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Il brontosimone

Recentemente mi è capitato di reagire male ad una email ricevuta nella mailing list dei ricercatori universitari. L'autore del messaggio, a me sconosciuto, scriveva le proprie sacrosante osservazioni in un italiano sintatticamente povero, quasi adolescenziale. Purtroppo ho risposto pubblicamente che quel messaggio rappresenta, ai miei occhi, il fallimento della scuola italiana (pubblica o privata, poco importa).

Ovviamente, sono stato rimproverato di scorrettezza e di maleducazione. Francamente me ne infischio, come ebbe a dire Clark Gable (e non Humphrey Bogart, grazie a Paola per la segnalazione) tanti anni fa. Il fatto è che non ne posso più di leggere compiti d'esame infarciti di errori grammaticali, e non ne posso più di leggere email miserevoli in quanto a consecutio temporum e accordo dei pronomi personali. Qualcuno dice che nelle comunicazioni elettroniche occorre essere indulgenti, addirittura sarebbe sconsigliato attenersi alle regole dell'italiano scritto. O bella! E perché mai, di grazia? Forse una email non è un testo scritto? Dovrei essere felice di indovinare la punteggiatura mancante perché l'autore ha avuto un'infanzia complicata?

Fin dalla tenera infanzia, mamma, papà, maestra e professori mi hanno inculcato (e ne sono orgoglioso) l'abitudine ad esprimermi dignitosamente: la povertà di linguaggio, mi dicevano, è la povertà dell'intelletto. Certamente possiamo, e sovente dobbiamo, esprimerci colloquialmente fra amici e parenti. Ma non è piacevole inviare una email dalla sintassi zoppicante a centinaia di colleghi sconosciuti. D'altronde, ho sempre pensato che un individuo scolarizzato dovrebbe faticare a scrivere male, e non a scrivere correttamente. Mi stupisce che, secondo alcuni colleghi laureati, mi starei sbagliando.

Commenti

  1. Condivido tutto quello che hai scritto.
    Ti consiglio anche la lettura dell'ultimo libro di Paola Mastrocola.

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