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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Nuovi e vecchi organi

Le vacanze si avvicinano, e il clima invita a dedicarsi ad alcune riflessioni che altrimenti avremmo poco tempo di fare.


Un altro anno se ne sta andando (e accademicamente già siamo nell'anno nuovo), ho partecipato a dozzine di riunioni di vari organi: dipartimento, corso/i di laurea, facoltà. Il riordino delle strutture universitarie prevede l'eliminazione delle attuali facoltà e il trasferimento di buona parte dei doveri ai singoli dipartimenti. Se mai ci fosse un'idea relativamente intelligente nella legge di riforma, forse è proprio questa. Attualmente un consiglio di facoltà è composto da svariate decine di persone (dipende ovviamente dalla consistenza numerica del corpo docente e ricercatore) che si riuniscono periodicamente (qui una volta al mese, altrove più raramente) per deliberare. Concretamente, le decisioni sono negoziate a livello più basso (dipartimenti e/o consigli di corso di laurea) e presentati per l'approvazione in facoltà. Ne consegue che il contenuto di molti consigli di facoltà è:



Cari colleghi, blah blah blah blah… Contrari? Astenuti? È unanime, grazie!



Se ne esce con la sensazione di una mera ratifica, il che spesso è proprio la verità e non c'è alcunché di sbagliato: come faccio io, matematico, ad esprimere un giudizio sensato sulle decisioni di un dipartimento di bioscienze o di informatica? Raramente ho gli strumenti per entrare nel merito, e quindi mi fido (cioè approvo) le proposte di chi è addentro e competente. Il risvolto sottilmente sgradevole è che proprio il consiglio di facoltà è l'organo sovrano che delibera, e se ne assume la responsabilità. Quindi mi fido ma garantisco di aver votato secondo coscienza.


Per questa ragione, non vedo l'ora che il trasferimento delle competenze dalle facoltà ai dipartimenti (eventualmente organizzati in scuole o similia) sia effettivo: in un consiglio di dipartimento è più agevole discutere e confrontarsi, anche perché i temi interessano spesso la quotidianità professionale dei singoli docenti e ricercatori. Forse non serviva un ministro con gli occhi a fessuretta (come dice Caterina Guzzanti nelle sue parodie) per fare questa riforma specifica, ma ormai ce l'hanno data (la riforma) e ci tocca adeguarci.

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