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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Gatti


I gatti mi piacciono, e anche tanto. Fin da piccolo ho avuto un sano terrore dei cani, troppo espansivi e aggressivi. Con i cani, devi essere dominante, per non confondere le idee alla bestia.
Con i gatti, invece, il rapporto è più rilassato: un gatto, pur incapace (per ora) di profferire verbo, sa farsi capire. Se incontri un cane e allunghi una mano, potresti trovarti all'ospedale; un gatto che non vuole darti confidenza, se ne va di corsa e nessuno si fa male. Certo, non bisogna mai chiudere un gatto in un angolo, senza via di fuga; ma oggettivamente sono situazioni rare ed evitabili.
Detto ciò, non ho mai avuto un gatto in casa. A volte, d'estate, nella casa di mio nonno entrava a farci visita uno dei gatti del cortile adiacente. Mi divertivo ad accoglierlo, e il gatto spesso dormiva su una sedia per una mezz'ora, prima di tornare a casa.
Da adulto, alla fine del dottorato, la mia coinquilina ha (abusivamente) introdotto i gatti nel nostro appartamento. Il padrone di casa, come tanti padroni di casa, non voleva animali (ma affittava a certi buzzurri che erano più bestie che uomini). Certo, un conto è accogliere un cavallo da soma, e un conto è accogliere un pesce rosso o un felino di piccola taglia. Ma tant'è: la mia amica doveva nascondere il micio sotto una coperta per introdurlo senza rischi.
Sulle prime, ero diffidente. La parte "paterna" della mia famiglia non ha mai avuto buoni rapporti con gli animali domestici. Mentre la famiglia di mia mamma ha sempre condiviso l'abitazione con cani, gatti, criceti, quella di mio papà ha una lunga tradizione di velato disprezzo per tutto ciò che cammina a quattro zampe.
È un atteggiamento diffuso, perfino fra le ultime generazioni. Qualcuno teme le malattie; eppure sono certo che il rischio epidemiologico scatenato da una carezza al pelo di un gatto sia molto inferiore a quello provocato da una sosta nei bagni dell'autogrill, per esempio. I gatti non curano l'igiene come i "cristiani", e ci mancherebbe. Ma le malattie trasmissibili sono rare, e certo una carezza sul dorso non presenta rischi esagerati per la salute.

Dopo le prime settimane di diffidenze, ho iniziato ad affezionarmi alla presenza di un gatto in casa. Quando ho lasciato Trieste, ho sentito la mancanza di questi compagni pelosi.
Ieri pomeriggio, ho colto la solita conversazione disarmante. Due persone si stavano raccontando un'esperienza di affitto, ed è emerso che uno di loro aveva affittato un appartamento ad qualcuno con un gatto. E subito è partito il frasario più banale: "con un gatto in casa, non c'è igiene", "le bestie stanno meglio in giardino", "quell'animale mi ha scorticato le gambe del tavolo, perché non gli tagliano le unghie?", e così via.

Quando sento questi discorsi, mi verrebbe voglia di chiedere: "Ma lo sa che sua moglie si lamenta perché lascia le mutande sporche per terra?" Insomma, quello che intendo è che l'uomo non smette mai di sentirsi appartenente ad una razza superiore. Il padrone di casa che rilascia flatulenze sul divano è igienico, mentre il gatto che fa pipì nella cassetta è un veicolo di diffusione di peste e colera. E perché non mettiamo alla porta gli inquilini che puzzano di sudore o di birra?

La verità è che i gatti, come tutti gli animali domestici, devono essere educati. Chi prenderebbe in casa un cane inselvatichito? Allo stesso modo, al gatto occorre mostrare dove può e dove non può fare i propri bisogni corporali, e vi garantisco che imparano in fretta. Qualche incidente capita, e qualche coperta da buttare avanza sempre. Ma siamo sinceri, ciascuno di noi, negli anni dello sviluppo, è stato assai meno igienico di un gatto domestico. Se quella volta che ho mangiato troppe caramelle e le ho vomitate sul tappeto, mamma e papà mi avessero mandato all'orfanotrofio, sicuramente ci sarei rimasto male!
Scherzi a parte, un gatto fa meno danni di un bambino. Se una pipì di gatto sul lenzuolo deve far scattare l'allarme di contaminazione biologica, poveri noi.

Mi fa orrore scrivere quello che segue, ma non riesco a trattenermi. Nel mio condominio, come penso ovunque, c'è qualche animale domestico. Cani, per lo più. In un'assemblea è emerso che la legge tutela la presenza degli animali domestici, che non possono più essere cacciati con un semplice regolamento condominiale. Un coinquilino, e mi verrebbe voglia davvero di scriverne nome e cognome, si lascia scappare una frase sconcertante:
Eh già, cani, gatti, omosessuali: dentro tutti!
Sono rimasto senza parole per l'imbecillità di questo bipede, che può anche andare a votare. Chissà se i regolamenti condominiali possono togliere la parola ai cretini conclamati...

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