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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Le cicche dietro Pirandello

Ieri sera, mentre guardavo un (banale) film con Meg Ryan, mi è tornato in mente un episodio che avevo rimosso. Non ho ancora capito perché la mia mente lo abbia ripescato proprio durante quel film, magari c'è un senso.

Da bambino ero un tipo decisamente ubbidiente e timoroso, dunque accettavo con rassegnazione le proibizioni dei miei genitori. Oltre a quelle scontate come non giocare con il fuoco, non allagare il bagno, attraversa la strada solo al semaforo, non arrampicarti sugli alberi, ce n'erano altre di natura... igienica. Una fra queste era il divieto di masticare il chewing-gum, che noi lombardi chiamiamo cicca. Quindi "vado a comprare le cicche" non sottintende che sono un tabagista, ma solo che ho finito le gomme da masticare.
Questa proibizione, a differenza delle altre che evidentemente miravano a preservarmi da incidenti gravi, non la capivo del tutto: i miei amici ruminavano allegramente, perfino in presenza dei genitori! Io no, potevo solo mangiare (poche) caramelle. Un adulto capirebbe immediatamente il fine di questo principio alimentare, ma un bambino non può essere così maturo e giudizioso.

Arrivato ad una certa età, forse verso i dieci anni, ho detto a mia mamma (si sa che i maschi cercano la complicità della mamma) che volevo anch'io le cicche. E mia mamma, dopo un po' di resistenza, me le ha comprate. Non posso dire che mi piacessero tanto, ma mi sentivo finalmente uguale agli altri ragazzini. Il problema, però, era solo rimandato: come nascondere a mio papà che ero diventato un vizioso? Un completo outing era escluso, perché mi avrebbe condotto verso settimane di musi lunghi e di silenzi, oltre all'automatico inguaiamento di mia mamma complice.
Dunque dovevo nascondere il corpo del reato; ma dove? A quei tempi vivevo in un appartamento di due stanze più servizi, dunque una casa decisamente piccola. Però aveva una geometria curiosa, e dopo la porta di ingresso si allungava un corridoio vagamente tetro con un piccolo mobile ad ante, chiuso a chiave. In questo mobile tenevamo il tipico ciarpame, i quaderni delle classi precedenti, l'elenco del telefono: insomma, era il nascondiglio ideale! E poi nessuno, a parte me, lo apriva.
All'interno del mobile c'era anche un bel cofanetto di dieci libri, le opere teatrali di Pirandello. Era una scatola in stoffa nera, incastrata fra altri libri e quaderni che nessuno cercava più. Io spostavo leggermente in avanti il cofanetto, e nascondevo il pacchetto di cicche dietro, fra i libri e il muro. Agli occhi di un bambino di dieci anni sembrava un nascondiglio degno del tesoro di un pirata, e la faccenda andò avanti a lungo. Certo, capitava quella sera in cui mio papà, tornato da Milano, aveva bisogno di un numero di telefono; in quei momenti mi vedevo già in prigione, condannato ad espiare il mio tradimento per l'eternità. Non so perché, ma il segreto non venne mai scoperto.

Poi cambiammo casa, e andammo a vivere in un appartamento più grande ma più... quadrato. Non c'era più una zona lontana dalla frequentazione abituale, e dovevo trovare un nuovo nascondiglio. Tutti i libri furono spostati nell'apposita libreria alta fino al soffitto, e Pirandello capitò proprio all'altezza degli occhi di un adulto di normale statura. Provai a ripetere lo stratagemma, ma mi accorsi che non avevo speranze: il diverso allineamento dei confanetto era evidente come una macchia di sugo sulla camicia bianca, e più di una volta dovetti inventare qualche pantomima pietosa per distogliere l'attenzione di mio papà da quei libri inclinati da una parte.
Ma ormai ero grande, avevo quattordici anni e le cicche le tenevo più per il brivido di violare una proibizione che per il gusto di mangiarle. Ricordo che un giorno le buttai via tutte e non ci pensai più.

Per molti anni ho portato con me quel tabù infantile, e in fondo la masticazione continua mi infastidisce un po. Ancora oggi, quando vedo la pubblicità di queste gomme che promettono di pulire i denti, mi chiedo se i papà dei bambini ci caschino veramente. Possibile che nel 1985 facevano cadere i denti e nel 2012 li conservano più sani e puliti? Allora erano piene di zucchero, ma adesso sono piene di dolcificanti ambigui e sospettati di causare malattie incurabili.
Chissà se la società ha barattato il tabù delle cicche con il rischio di una malattia mortale in età adulta?



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