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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

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La frase del titolo è un famoso paradosso informatico che si tramanda di generazione in generazione. È diventato il paradigma dell'ottusità informatica, incapace di uscire dagli schemi fissi. Questa mattina ho scoperto un nuovo esempio di tale ottusità.

Prerequisiti per la comprensione: le biblioteche universitarie non sono mai complete, nel senso che è impossibile trovare una biblioteca contenente tutti i libri e le riviste scientifiche mai stampati. Per questa ragione esiste il servizio di document delivery, accessibile agli utenti istituzionali e agli studenti in tesi. Senza farla troppo lunga, se ho bisogno di studiare un articolo che non è presente nella mia biblioteca, posso chiedere che mi sia fornita una copia del documento sulla base degli accordi di reciprocità con le altre biblioteche nazionali. Di solito il materiale arriva entro pochi giorni, in fotocopia. Tutta la procedura è ovviamente (?) informatizzata: io compilo un apposito form sul sito internet della biblioteca, e la richiesta è inoltrata.

Ebbene, un paio di settimane fa ho scoperto di dover leggere un articolo del 1991, impossibile da trovare in formato elettronico. Sapevo che era Ferragosto e le biblioteche universitarie erano chiuse per ferie, quindi ho compilato il form e mi sono rassegnato a pazientare fino all'inizio di settembre. Questa mattina, con mia incredibile incredulità, scarico la posta elettronica e leggo un messaggio proveniente dalla mia biblioteca. Il contenuto era circa il seguente:

Gentile utente,
                           in data 14 agosto 2012 ci è pervenuta la sua richiesta relativa al seguente articolo: (omissis)
Ci spiace comunicarle che tale richiesta non è valida ed è stata cancellata, in quanto pervenuta durante il periodo di chiusura della biblioteca. La invitiamo a rinnovare la richiesta dopo il 3 settembre.
Cordiali saluti

Confesso di aver letto gli header dell'email, perché temevo fosse spazzatura. Invece no, purtroppo. Gli ottusi burosauri hanno deciso che le richieste possono essere presentate solo quando la biblioteca è aperta; come ai vecchi tempi in cui sono stati assunti, presumo. Ma nel 19.. era inevitabile, perché non esisteva internet e tutto era su supporto cartaceo, compilato a mano e presentato ad un bibliotecario. Nel 2012 la procedura è informatizzata ma devo comunque aspettare che i bibliotecari rientrino dal mare.
Mi domando: se avete tenuto in salamoia la mia richiesta per due settimane, perché non potete tenerla in salamoia fino al 3 settembre? Me la annullate e me la fate riscrivere fra cinque giorni, per puro sadismo. A questo punto non mi meraviglierei, se scoprissi che il form in rete produce un foglio di carta A4 che viene spedito via fax ad un'altra biblioteca. O magari c'è un allevamento di piccioni viaggiatori nel sottotetto, e non me ne sono accorto.

Se questa è la declinazione all'italiana della pubblica amministrazione on-line, stiamo freschi.

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