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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

La scuola accorcia la vita?

Stamattina sono arrivato in ufficio, e sul mio profilo Facebook ho trovato questo link. L'autore, ricercatore presso il dipartimento di fisica dell'Università di Torino molto attivo negli scorsi anni di protesta contro la cosiddetta riforma "Gelmini", contesta le ultime dichiarazioni d'intenti del ministro Profumo.
Eccezione fatta per l'uscita futurista sui maestri di scuola virtuali, probabilmente ispirata dal desiderio di apparire "ggiovane", sono rimasto estremamente sorpreso dalle argomentazioni del collega Ferretti contro l'abbassamento dell'età scolastica a cinque anni.

In prima istanza, mi sembra piuttosto incredibile che qualcuno cerchi una correlazione fra l'aspettativa di vita e l'età scolastica: paradossalmente, il messaggio sposato da Ferretti è che vive meglio chi va poco a scuola. Infatti abbiamo capito tutti che non possiamo permetterci di iscrivere i bambini a sette o otto anni e tenerli sui banchi uno o due anni in più; già ora le carriere scolastiche italiane sono troppo lunghe.
Anche l'argomento che a undici anni non si notano differenze fra i bambini che hanno iniziato a studiare presto e quelli che hanno iniziato un po' più tardi mi sembra quasi ovvio: che cavolo si aspettavano questi studiosi? Forse che a undici anni i primi sapessero tradurre dal greco antico o risolvere equazioni differenziali? In attesa di una ricerca che mi smentisca, penso che il cervello dei bambini sia molto flessibile, quindi ci mancherebbe solo che a undici anni ci fosse una "forchetta" definitiva fra i destini degli infanti!

Non mi pronuncio sulle ripercussioni dell'anticipo d'età rispetto alla propensione a studiare oltre l'obbligo. Immagino che possa subentrare un effetto-stanchezza, anch'esso ragionevole. Quello che non ho capito bene è se il confronto sia fatto a parità di cicli scolastici o a parità di età anagrafica. In effetti, che significa andare a scuola prima? Significa scalare la carriera di un anno, oppure aggiungere un anno scolastico al percorso attuale? Nel primo caso, mi sembra pretestuoso dire che, a parità di carriera complessiva, faccia male anticipare di qualche mese l'inizio. Nel secondo, mi sembra scontato che qualcuno possa soffrire l'aggiunta di un anno secco di scuola.

La questione del cosiddetto "colossale studio effettuato su un arco temporale di 80 anni" riguardante la tendenza dei bambini pre-scolarizzati a diventare etilisti, psicolabili e condannati ad una vita più breve è succosa per un giornalista.
Da profano della statistica e della sociologia, ho il dubbio che si tratti di uno studio talmente elefantiaco che i risultati possano essere contraddittori. Come è stato possibile attribuire esattamente all'età di scolarizzazione le conclusioni tratte? Non sarà come quegli studi che i giornali ci tirano addosso quotidianamente, secondo i quali oggi fa bene il vino e domani è un veleno mortale? Ieri dovevamo tutti fare jogging e oggi è una delle cause di morte precoce: titoli così si leggono di continuo.

Io ho imparato a leggere a cinque anni, grazie alla dedizione di mia mamma, che mi insegnava sui fumetti e sui libri illustrati. Ricordo che mi infuriavo perché volevo leggere da solo le insegne dei negozi e le parole sullo schermo della televisione, quindi lo sforzo di insegnamento le ha risparmiato tanti capricci. Chissà se questo mi ha rovinato per sempre? Lo studio non parla di studio individuale, a casa propria.
Io speriamo che me la cavo!

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