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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

Editing creativo (reprise)

Ripensando al contenuto del mio precedente post, mi rendo conto di essere stato ingiusto. Lasciatemi spiegare perché. Prima di procedere nella mi disquisizione, vorrei però rassicurare Marco e Roberto che, su Facebook, hanno criticato il mio atteggiamento: non sono in malafede. Più semplicemente, quando scrivo un articolo tendo a raccogliere in bibliografia anche quelle opere di formazione che ho letto per farmi una cultura sul problema e sui metodi più usati. Li aggiungo e talvolta scopro di non averli mai richiamati, perché non esiste un vero momento dove mi servono; mi servono un po' dappertutto, o mi sono serviti per farmi una cultura sul tema trattato. In questi casi, solitamente me la cavo con la tipica frase
See also [...] for some related problems.
nell'introduzione, ma capita che me ne dimentichi nella trascrizione in LaTeX dei miei calcoli. Dal mio punto di vista, la frase di circostanza qui sopra e nessuna frase di circostanza sono di fatto equivalenti, ma immagino che per altri scienziati non sia così; anzi, alcuni colleghi sono estremamente aggressivi nella stesura delle loro bibliografie, mentre io tendo ad essere assai generoso.
Ma torniamo a noi. Nel dicembre scorso, la blogger Clarina parlava in un post del mestiere dell'editor: il signor S. citato nell'intervento sono io. Clarina aveva in mente gli editor di libri più che quelli delle riviste scientifiche (si leggano anche i commenti al post), ma una notte di riflessione mi ha portato a credere che io stesso ho trattato l'editor del mio manoscritto esattamente secondo il pregiudizio che avevo già espresso, cioè con supponenza. Penso sia il caso di scusarmi, anche se dubito che l'editor del mio articolo sia al corrente di questa polemica.

Il fatto è che noi matematici siamo sempre più assuefatti alla politica editoriale del camera-ready, secondo cui la versione accettata del manoscritto è copiata e incollata, o al più adattata allo stile grafico della rivista. C'è senz'altro un perché economico, ma il risultato è che la scorrevolezza di tanti articoli pubblicati è drasticamente bassa. Nel mio caso, ho avuto la fortuna di imbattermi in un editor della vecchia scuola, di quelli che leggono il manoscritto e cercano di migliorarlo. E, da buon autore, non ho apprezzato lo spirito di iniziativa; purtroppo è molto facile cedere alla tentazione di considerare già perfetta la propria scrittura, e di reagire con tracotanza alle proposte di miglioramento dell'editor.
Ora, in tutta franchezza, avrei preferito che l'editor mi avesse segnalato l'incongruenza delle citazioni-non-citate, invece di un intervento piuttosto arbitrario di citazione-a-caso. Ma, riflettendoci a mente fredda, molti di quei riferimenti bibliografici possono stare dove l'editor li ha messi, senza scandalo.

Infine, non dimenticherò mai quel famoso matematico che ho visto stroncare un manoscritto dopo aver scorso l'abstract e la bibliografia. Sono consapevole che non bisognerebbe assecondare questi comportamenti al limite della scorrettezza, ma tutti teniamo famiglia: a volte è meglio una citazione in più che una in meno.

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