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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

O cacchio: fra una settimana si vota e non ho niente da mettermi

Riassumendo: fra una settimana tutti gli italiani saranno chiamati alle urne (che in qualche caso sembrano proprio quelle cinerarie, fra vecchioni con il cerone e comici bolliti in preda al delirio di onnipotenza) per scegliere il prossimo governo. Va beh, facciamo finta che sia vero nonostante il cosiddetto porcellum. Il punto è che più passano gli anni e più faccio fatica a trovare la mia posizione sullo scacchiere politico.
Confesso di essermi tormentato a lungo, incolpandomi di immaturità. Ma l'età avanza e le paturnie si sgretolano. La conclusione cui sono pervenuto è che il panorama politico italiano è troppo complicato per i miei gusti. E forse dovrei allargare il giudizio all'intera Europa.

Sì, perché anni di cinematografia statunitense sembrano aver forgiato la mia mente su un modello forse più rudimentale, ma forse anche più onesto. Parliamoci chiaro: se fossi un cittadino americano, voterei (quasi) senza dubbi il partito democratico. Là è tutto più lineare: a meno che tu non sia un petroliere o un produttore di armi pesanti, è ben difficile trovare vantaggi nell'essere repubblicano. Clint Eastwood, che tutti ormai considerano un fanatico di destra, è sempre stato un indipendente, e perfino un buon sindaco in California. 

Certo, se sei un membro effettivo della Supremazia Ariana probabilmente voterai repubblicano, e questo è già un pessimo sintomo. Ma il bello è che non bisogna coltivare droghe leggere nella vasca da bagno, per sentirsi democratici. La distinzione fra le due appartenenze è molto grande: in breve, devi chiederti se sostieni il darwinismo sociale oppure no. Se pensi che i poveri siano tali perché sono degli imbecilli senza speranza, sei un repubblicano. Se pensi che lo siano perché la ricchezza è concentrata nelle mani di poche famiglie, sei democratico.
Negli USA nessuno si stupisce se le tangenti sono punite con decenni di carcere, e nemmeno se un sindaco democratico garantisce l'ordine pubblico con una certa severità. In Europa è tutto più complesso.

Immaginate che un sindaco di sinistra ordini un controllo a tappeto fuori dalle discoteche della sua città. O che un sindaco di destra organizzi centri di accoglienza per immigrati e diseredati. Tutte attività assolutamente naturali, eppure sistematicamente etichettate come "di estrema destra" oppure "di estrema sinistra". Siamo tutti rinchiusi nelle gabbie dell'ottusità ideologica, fermi al dualismo infantile dei buoni e dei cattivi. 

Resta la domanda: mi si nota di più se voto questo o se voto quello?

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