Un paio di giorni fa ho terminato la lettura di questo breve (144 pagine) romanzo di Georges Simenon, pubblicato come sempre da
Adelphi. Lo tenevo in un piccolo mucchio semi-nascosto dal 2009, e le pagine hanno fatto in tempo ad ingiallire. Finalmente l'ho preso in mano, spinto dal lusinghiero parere di Luois-Ferdinand Céline
Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni
La trama è apparentemente semplice: il comandante Lannec, bretone, è finalmente il proprietario del
Fulmine del cielo, un cargo acquistato grazie alle garanzie della suocera Pitard. La moglie Mathilde ha preteso di vivere a bordo insieme a lui, anche se tutto le sembra sporco, e soffre il mal di mare, e rimane quello che è: una vera Pitard, una piccola borghese incapace di accettare la vita in mare!
Lannec accetta un carico per l'Islanda, sebbene preoccupato da un misterioso biglietto minatorio: «il
Fulmine del Cielo non arriverà mai in porto...»
La traversata verso l'Islanda sarà apocalittica, in mezzo alla tempesta; giunto quasi a destinazione, mentre il clima a bordo si fa sempre più teso, il
Fulmine del cielo raccoglie un S.O.S. inviato da un'imbarcazione francese che sta imbarcando acqua a causa del mare grosso. Lo spettacolo è raccapricciante: una parte dell'equipaggio è già stata trascinata via dalla corrente, e i superstiti sono aggrappati al relitto ormai rovesciato su un lato. Lannec non può sottrarsi agli obblighi del codice marinaresco, e cerca di recuperare i sopravvissuti. La manovra è al limite dell'impossibile, perché la furia del mare rompe per due volte l'argano e fracassa contro la fiancata tutti coloro che tentano di tuffarsi in mare. In una sarabanda di disperazione, Mathilde scongiura il marito di portarla in salvo, a terra; ma lei è solo una Pitard, ingnara dei doveri di un comandante. Finirà male: in un accesso isterico, la donna si lancia in acqua, e nemmeno il coraggio di un marinaio che riesce a recuperarla la salverà dalla morte per annegamento.
Finalmente il cargo, con il suo carico di superstiti stravolti e sporchi (Simenon insiste più volte sul puzzo emanato dai superstiti a bordo), arriva in Islanda. Il corpo di Mathilde richiede sepoltura, ma è domenica e non ci sono bare né falegnami. Lannec maledice la vecchia Pitard che ha spinto la figlia a quella fine terribile: perché lui sa che la suocera temeva che il genero vendesse l'imbarcazione, la
sua imbarcazione, al miglior offerente e fuggisse con il denaro. La povera Mathilde era solo un cane da guardia, un burattino nelle mani avide dei Pitard.
E il biglietto minaccioso? La tragedia si stempera nella farsa, quando Lannec scopre che è stato scritto da un suo dipendente, spaventato dai tarocchi letti alla moglie prima di imbarcarsi.
Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere questa recensione, perché confesso che il libro non mi è piaciuto. Trovo che Simenon abbia scritto alcuni racconti estremamente confusi, in guisa di fotografie istantanee di un episodio che scopriamo solo parzialmente. Ho avuto la sensazione di essere tenuto all'oscuro sia di quello che è successo prima dell'inizio, sia di quello che succederà dopo la fine del libro; quella sensazione che si prova quando si coglie una conversazione fra passanti che incrociamo sul marciapiede.
Eppure il libro ha un fascino sinistro, come spesso accade nelle avventure di navigazione. Per i lettori affezionati del grande scrittore belga, è sorprendente il ritmo incalzante dei capitoli finali, e il rovesciamento del tipico schema dei
romanzi duri: evento tragico - elaborazione del lutto - recupero della normalità.
Io preferisco la produzione più cupa e asfissiante di Simenon, quella dei romanzi di provincia e dei delitti inconfessabili, ma
I Pitard potrebbe affascinare chi si avvicinasse per la prima volta all'autore.
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