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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Il tuo 5 per mille

Scusate, ma comincio ad essere stufo. Di che cosa? Dei messaggi pubblicitari che le università inseriscono alla fine di ogni messaggio di posta elettronica.
A che servono? Ma a chiedere soldi, naturalmente!

Ieri sera ho ricevuto un'email da un collega: erano dieci righe di testo, e sotto c'era mezza pagina, con tanto di immagine gif allegata, che mi incoraggiava a donare il mio 5 per mille alla sua università. Tanto per cominciare, trovo che sia un'inaccettabile violazione della sacralità della corrispondenza: che cosa direste, se all'inizio di ogni telefonata foste obbligati ad ascoltare trenta secondi di pubblicità? Non stiamo parlando di un provider gratuito, ma del datore di lavoro.
Poi c'è la questione della dignità. Cinquant'anni fa ci vantamo di essere poveri ma belli; oggi gli atenei sono ridotti alla stregua dei questuanti che ti fermano per strada e ti chiedono un euro per un caffè. Io, francamente, mi vergognerei di chiedere obbligatoriamente soldi a tutti i miei corrispondenti.

A parte queste obiezioni più di natura estetica che sostanziale, è proprio la logica che mi sfugge. La casella di posta elettronica fornita dall'università dovrebbe essere utilizzata dai dipendenti per ragioni professionali; è tollerato l'uso personale, ma non dovrebbe essere la regola.
Ebbene, perché io dovrei scrivere un'email ad un collega, magari di un'altra università, invitandolo a donare soldi al mio ateneo? Che cos'è, il gioco delle tre carte?

Forse sono ipersensibile, ma la continua richiesta di denaro, naturalmente sempre per opere piissime, mi indispone alquanto. Ogni dieci minuti la televisione ci invita a rinunciare ad una tazzina di caffè al giorno per sfamare un bambino africano. Oppure a donare "due o cinque euro" a questa o a quella iniziativa. E proprio ieri sera ho ascoltato, inorridito, la proposta geniale di una giornalista che qualcuno voleva presidente della repubblica: rendere totalmente detraibili le donazioni a scopo benefico.
Dunque, fatemi capire: se regalo soldi ad un bischero qualsiasi, che è riuscito a farsi inserire nel calderone degli aventi diritto al 5 per mille, posso sottrarre quei soldi dalle mie tasse? O bella, e chi paga la sanità, la scuola, la manutenzione delle strade, ecc. ecc.?
In men che non si dica, i soliti noti metterebbero in piedi un sistema di riciclaggio basato sulle donazioni, lasciando in mutande i servizi pubblici essenziali.

Da quell'ingenuo che sono, continuo a pensare che la beneficenza si debba fare in silenzio, con il cuore. E soprattutto dovremmo farla noi, senza chiedere un parere al commercialista.

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