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Perché non si legge?
Sabato mattina, dopo due settimane di (piccoli) acquisti maniacali su eBay. Niente di straordinario, solo alcuni vecchi libri di Georges Simenon, altrimenti irreperibili. Rientro e scorro la timeline del mio account Twitter: nel marasma di banalità e di notizie sparse, leggo un tweet di Matteo Righetto. Con la perentorietà dei centoquaranta caratteri, lo scrittore sostiene
Nessuno lo dice, ma si legge di meno anche perché si sta troppo su Facebook o su Twitter.
E come dargli torto? Se penso al ritmo tipico di una mia giornata, posso dedurre che finirò i cinque libri appena acquistati dopo le ferie estive. Certo il fatto di dover lavorare per vivere ha un certo peso, ma la disponibilità dei social network comprime abbastanza il tempo che fino ad alcuni anni fa dedicavo alla lettura. Ci si collega con l'intenzione di dare solo un'occhiata rapida, e si resta attaccati al monitor per un'ora.
Se questo succede ad una persona che comunque legge molto anche per lavoro, non oso immaginare quante ore di lettura perda un essere umano che legga solo per svago. Mi è già stato detto che il mio osservatorio è troppo limitato per trarne le conseguenze, ma scopro sempre meno pendolari immersi nella lettura. E per lettura intendo anche la lettura su tablet o appositi istromenti da e-book.
Ci sono gli studenti dediti al ripasso degli appunti, ma una percentuale sconfortante di pendolari sale in treno, si accomoda (quando trova posto) e smanetta con il cellulare. Altrettanti infilano le cuffie nelle orecchie e chiudono gli occhi. Noi lettori accaniti sembriamo un'incrostazione delle ere passate.
Capisco che può essere un caso, magari prendo il treno in orari particolari, oppure si tratta di un'eccezione statistica. Né voglio rimpiangere il passato per se: la censura e la repressione sono gli strumenti (apparentemente) più efficaci per conservare le antiche usanze, ma solitamente bisogna imporle con la forza. E raramente è una buona cosa.
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