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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Il BAU e le tesi di laurea

Riprendo qui l'argomento che ho trattato ieri nel mio post sulle commissioni di laurea. Dopo aver guardato due episodi della serie tv Criminal Minds, ho ripensato alle mie parole con senso critico. Per inciso, il BAU è l'unità di analisi comportamentale dell'FBI, protagonista della serie suddetta. Ho cercato di analizzare il mio punto di vista dall'esterno, ed ho improvvisamente capito di essere vittima di un pregiudizio.

Molto probabilmente ho attribuito alla tesi di laurea il valore della tesi di dottorato. Più precisamente, ho pensato che il lavoro del relatore fosse quello di accompagnare il laureando al raggiungimento di un obiettivo scientifico. Questo, naturalmente, implica l'assurdità di sminuire la tesi finale, perché sarebbe come ammettere di non saper risolvere il problema affrontato. Ed effettivamente è molto raro che il supervisore di una tesi di dottorato parli male del proprio dottorando, che affronta un percorso di iniziazione alla ricerca sotto la guida del supervisore medesimo.

La tesi di laurea probabilmente è su un diverso livello, e potrebbe essere utile recuperare il significato primo della terminologia. Il relatore, come dice la parola, dovrebbe stilare una relazione sul lavoro del tesista. Implicitamente, ciò significa che il tesista è valutato dal relatore come un qualunque esaminando, e nessuno garantisce che l'esito dei mesi di lavoro sull'argomento di tesi sia positivo. Insomma, il relatore non si mette in gioco, non lavora insieme con il laureando per risolvere un problema; piuttosto diremmo che il relatore valuta la capacità del laureando di affrontare un problema in (parziale) autonomia.

Se questo è vero, è altrettanto evidente il cortocircuito che si crea nelle lauree scientifiche "dure": è una rarità che il laureando abbia gli strumenti per proporre da sé un argomento di lavoro al relatore. I laureandi in Lettere, per esempio, possono innamorarsi di una problematica come il ruolo della donna nei romanzi del Novecento, e proporlo ad un docente come argomento di tesi. Ma capite che è improbabile che un laureando in matematica proponga il fenomeno della rottura di simmetria per l'equazione di Hénon senza ricevere un'imbeccata da un matematico esperto. Dunque il ruolo del relatore è diventato schizofrenico: da un lato offre l'argomento di tesi, dall'altro lo deve valutare come se fosse un'idea del tesista.

Ora penso di avere le idee più chiare, sebbene questa situazione de facto comporti a volte una penalizzazione per lo studente.

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