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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Maturo

Anche quest'anno sono iniziati gli esami di stato, meglio noti come esami di maturità. A costo di sembrare il solito brontolone, questa terminologia non mi piace: superare tre prove scritte e una prova orale non dimostra di essere maturi. Semmai, dimostra di essere buoni studenti. Ma pazienza, populus vult.

La mia maturità è ormai antica: giugno e luglio 1993, in quel di Cantù. C'erano ancora due prove scritte e due materie fintamente a scelta per l'interrogazione orale. Fintamente, perché la legge recitava che le materie dell'orale erano scelte dalla commissione fra quelle selezionate dal ministero. De facto, ogni maturando comunicava le proprie simpatie per due materie, e nel 99% dei casi quelle sarebbero state le materie casualmente selezionate dalla commissione.

Già, la commissione. Era composta da un numero che non ricordo (e non ho voglia di cercare in internet) di docenti esterni all'istituto, più un commissario interno. Sinceramente non ricordo più chi fosse il commissario interno: evidentemente non ebbe un ruolo significativo. Fra i commissari ricordo il professore di matematica e fisica, un tipo giovane (come sono giovane io adesso, per capirci) e piuttosto simpatico. Poi ricordo la professoressa di inglese, innamorata della propria pronuncia affinata con lunghe permanenze all'estero, che si divertiva a rivolgerci domande con un accento incomprensibile. A distanza di tanti anni penso che il suo accento fosse infinitamente migliore del nostro, ma all'epoca ci sembrava che parlasse in cinese.

La prova di italiano mi andò molto bene. Scrissi un tema di taglio molto giornalistico e scientifico, con riferimenti alla matematica della complessità. La prova di matematica, come spesso è successo nella mia vita, non fu entusiasmante. Sapevo risolvere gli esercizi, ma misi alcuni errori stupidi qua e là. Ricordo che mi arrabbiai terribilmente con me stesso, perché avevo deciso di iscrivermi alla laurea in matematica e di abbandonare il mio amore per le lettere, soprattutto classiche.

All'orale decisi di portare italiano e inglese, perché le alternative mi facevano orrore, soprattutto storia. Ancora oggi sogno di essere interrogato a sorpresa in storia, e di essere impreparato. Sono incubi fondati, poiché sono certo di aver chiuso il libro di storia prima del Natale 1992, e di non averlo praticamente riaperto fino alla fine dell'anno. A parte qualche difficoltà a comprendere le domande in inglese, penso di aver fatto un'ottima impressione. Tutto sommato, me la cavai piuttosto bene (con qualche punta di eccellenza) e anche in fretta. Altri miei compagni di classe trascinarono l'orale fino a metà di luglio, con grandi sofferenze.

A distanza di quasi vent'anni, mi sorprende che i miei ricordi dell'esame di maturità siano cosí sbiaditi. Ho un'ottima memoria, soprattutto visiva. Ricordo tante scene dei miei studi liceali; eppure ne conservo poche della maturità, soprattutto legate allo svolgimento delle prove scritte. Non so se sbaglio, ma forse non ho mai attribuito all'esame di stato quell'importanza esagerata che si tramanda di generazione in generazione. Ero molto carico, certo. Ma non ero preda dell'ansia o del panico.

L'esame di maturità è stato per me soprattutto lo spartiacque fra un mondo regolare, fatto di mattine tra i banchi e pomeriggi di studio, e un mondo di concentrazione su pochissime materie che amavo: algebra, geometria, analisi matematica, un po' di fisica. È stato anche l'allontanamento dai compagni di classe, che dopo cinque anni erano diventati quasi parte della mia famiglia (alcuni, almeno). Per mia buona sorte, ho trovato ottimi amici anche all'università.

Io continuo a pensare che l'esame di maturità non valga a dare patenti di - appunto - maturità. Ma è un passaggio che coinvolge e fa riflettere, su se stessi e sulla vita. Non lo abolirei mai.

Commenti

  1. spartiacque credo sia il termine giusto.
    In effetti, io ho ricordi sbiaditi non solo
    della maturità, ma anche del liceo.
    Credo sia dovuto al periodo alla sissa, che
    ho vissuto molto come "liceo II, il ritorno"",
    e che ha finito per soprapporsi al passato
    remoto.

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