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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Non aprite quella porta

Seconda puntata dei miei appunti di viaggio nella gaudianellente città di Bari.

Porte. Gli atenei di Bari (giacché sono due, l'università degli studi e il politecnico) hanno un rapporto vagamente schizofrenico con porte e serrature. Quando il dipartimento di matematica era interuniversitario ed ospitato nella palazzina dell'università, era tassativo sgomberare l'ufficio entro le 20. Dopo, nessuno poteva garantire la tua incolumità: Le porte di entrata (e anche di uscita!) erano chiuse con pesanti catene, e un addetto staccava la corrente elettrica in tutto il palazzo. Da qualche anno è stato creato il dipartimento di matematica del politecnico (ora soppresso dalla solita, malaugurata riforma "Gelmini"), e le regole sono diventate alquanto liberali: la porta di uscita è sempre apribile dall'interno, e nessuno stacca la luce durante la notte o nel fine settimana. Gli afferenti possiedono addirittura (!) la chiave del portone principale, qualora volessero lavorare durante le festività. Questo apparente ben d'Iddio è ampiamente compensato dal sistema di porte interne, degne dell'edificio della CIA a Washington DC. Ogni corridoio del dipartimento è chiuso da una porta tagliafuoco, dotata di chiave; dopo le 14 la serratura è bloccata, e solo il personale è autorizzato ad entrare. Tutti i visitatori dovrebbero citofonare (proprio così) e farsi aprire da qualcuno. Peccato che il personale del secondo piano non abbia, di regola, la chiave del corridoio del terzo piano; e viceversa. Questo crea situazioni un po' surreali. 
Poi c'è lo psicodramma dei bagni. Eh già, sarebbe troppo facile se i bagni all'interno dei corridoi fossero aperti; invece serve una chiave, e naturalmente c'è una chiave per le signore ed una per i signori. Dovete ammettere che questo sdoppiamento delle chiavi su base cromosomica sottintende un discorso spiacevole, e quindi non lo affrontiamo. Ora, ad onor del vero i bagni locked sono infinitamente più puliti di quelli open della Bicocca. Qualche cosa andrebbe rivista, come il sapone all'interno e le salviette di carta all'esterno, con evidente spargimento di acqua lungo la strada. Ma vorrei che la stessa pulizia ci fosse nel mio dipartimento. Ai nuovi arrivati capita sovente di arrivare davanti al bagno e di tirare qualche maledizione perché la chiave è rimasta in ufficio. La soluzione dei baresi è quella più impegnativa: girare con un enorme mazzo di chiavi, che li avvicina notevolmente a San Pietro.

Al ristorante, seconda parte. Stasera ho cenato da solo, in una pizzeria vicinissima al campus. Pur patendo le sconsiderate scelte dei pizzaioli baresi di stirare la pasta come se stessero preparando le ostie per don Giuseppe, devo dire di aver mangiato bene. La pizza con il tonno non è una pizza con la scatoletta di tonno del discount scodellata sopra. Certo, il fatto che Bari sia affacciata sul mare potrebbe avere qualche importanza nella faccenda. Ancora una volta ho sperimentato l'abilità dei camerieri locali, che saprebbero farti ordinare anche uno scarpone bollito. Ero entrato con la ferma intenzione di mangiare una pizza, visto che a pranzo il "panino veloce" si è trasformato in "qualche bruschetta, un ciccio offerto dal cuoco, un panino con würstel e crauti". Eppure mi sono ritrovato davanti un piatto di olive miste (nemmeno sapevo che ci fossero olive da mischiare: credevo fossero verdi e nere, e invece avevano perfino sapori diversi a parità di colore) "per ingannare l'attesa". E va beh, le olive non faranno certo male. Dopo la pizza ho ordinato una crostata di frutta, scoprendo che qui non è una versione pompata della crostatina del Mulino Bianco. Era una fetta di tornata con uno strato di frutta mista, e non c'era traccia di marmellata. L'unico momento in cui la proverbiale disponibilità della cameriera ha vacillato è stato quando ho chiesto se avessero un'acqua frizzante diversa dalla Ferrarelle. Mi ha guardato come avrebbe fatto solo un cameriere di Parigi in preda ad un attacco di mal di piedi, scuotendo la testa come se fossi un perfetto idiota. Certo non volevo una Perrier (che penso sia acqua della Senna addizionata di gas di scarico della zona industriale di Le Havre), ma qualcosa di più corposo dell'effervescente naturale sì. Anche una Gaudianello, perbacco!

Pioggia. I baresi affrontano il maltempo come i belgi. Cioè fregandosene altamente. Così come è praticamente impossibile trovare un belga con l'ombrello, altrettanto difficile è vedere un barese munito dell'arnese britannico. Oggi ha fatto una bella piovuta, nel pomeriggio. Eppure l'unico che aveva in mano l'ombrello ero io.

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