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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

I misteri gaudianellosi di Bari

Questa settimana sono a Bari, ospite del dipartimento di matematica del locale Politecnico. Da qualche anno non tornavo, e ho immediatamente riassaporato alcune abitudini della città.

  • La smania di utilizzare formule di cortesia cerimoniosa, curiosamente abbinate ad espressioni molto amichevoli. Un esempio? Alla recepito dell'hotel, ieri sera, l'addetto mi ha salutato così: "Buona sera professore, tutto bene? Allora ciao e buona notte." Sicuramente avrebbe usato il "voi", se solo ne avesse avuto l'opportunità. Mi ha colpito il "ciao", ma mi sono rassegnato all'idea che mezza Italia non ricorre a questa parola esclusivamente nei rapporti di amicizia e di consuetudine come usiamo noi lombardi. A Como nessuno direbbe "ciao" ad un professore, a meno di essere un amico. Siamo forse troppo rigidi, come i francesi che si danno del voi finché non non si conoscono biblicamente. E qualche volta anche oltre.
  • La celebre Acqua Minerale Gaudianello, effervescente naturale. Nessuno la beve oltre i confini della Puglia e della Basilicata, e anche qui è spesso sostituita da un'altra marca assai più popolare. Personalmente non amo le acque effervescenti naturali, perché noi "nordici" siamo allevati a forza di acque minerali effervescenti atomiche, quelle che ti fanno risalire dallo stomaco anche la cena della sera prima. Le sorgenti del Vulture, dalle quali sembra che sgorghi questo nettare meraviglioso, sono assurte, nel mio immaginario, alla nobiltà di un luogo arcadico e bucolico. Proprio per questo spero di non vederle mai dal vero, ho paura che resterei deluso.
  • La focaccia con i pomodorini. È ottima, molto barese, ma tragicamente acida. La mangio sempre, e sempre mi ritrovo con un bruciore di stomaco infernale. Ma è un sacrificio che faccio volentieri. Diffido, invece, della focaccia con pomodoro e mozzarella: qui gli ingredienti sono troppo "pesanti", per le mie abitudini digestive. Una mozzarella barese non è una mozzarella comasca, uscita al volo dal supermercato più vicino; però ho problemi con i latticini freschi, e li scanso prima di pentirmene.
  • Il rapporto affascinante fra cliente e cameriere, nei ristoranti. Credo sia una fenomeno tipico, al di sotto del Po; eppure ogni volta mi rapisce. Tipicamente il cameriere sciorina un elenco infinito di pietanze, e alla fine il cliente alza il sopracciglio e chiede: "Ma sono prodotti della casa?" Il cameriere, cerimonioso, seleziona i prodotti caserecci da quelli acquistati, e tutto si conclude senza drammi. Provate a fare lo stesso a Varese, e il cameriere vi guarderà come se volesse rispondere: "Non ti impicciare, io ti ho detto quello che ho. Se vuoi ordinare, sbrigati e non farmi perdere tempo! Roba da pazzi, come se potessi cucinare io tutto quello che metto nel menu!" La medesima scena, nell'alta Lombardia, si concluderebbe con una maggiorazione del 10% del prezzo finale, tanto per far capire che il cliente ha il diritto di mangiare ma non quello di "fare il figo". C'è poco da fare, noi lombardi del nord (giacché quelli del sud sono molto differenti) abbiamo un pessimo rapporto con il cibo, e lo riduciamo a dovere fisiologico. Soprattutto a mezzogiorno.
  • Appunto, il mezzogiorno. Ogni volta che vengo a Bari, so di dover affrontare spaventose crisi di fame. È un mio difetto congenito, posso cenare molto tardi (tra le 21 e le 22, senza problemi), ma dopo mezzogiorno il mio cervello richiede compulsivamente nuove calorie. Peccato che qui nessuno consideri l'idea di pranzare prima delle 13:30. Questione di abitudini, forse: a Milano vado in mensa alle 12 spaccate, e così facevo a Trieste. Oggi ci ho provato qui: alle 12:15, nonostante il mio imperdonabile ritardo, nel negozio di pizza al trancio eravamo in due: io ed un imbianchino. Forse il negoziante pensava che volessi far colazione un po' più tardi del solito!
  • Lo stile di guida: Bari è una città pericolosa per chi guida, ma solo se si vogliono rispettare le norme del codice stradale. È assai frequente che qualcuno ti sorpassi a destra, e sistematicamente la macchina dietro la tua emetterà uno squillo di tromba se ti fermi agli "stop". I baresi guidano veloce, salvo fermarsi misteriosamente in mezzo alla carreggiata per controllare se arriva qualcuno da sinistra. Non importa che la strada a sinistra sia un vicolo sterrato e senza uscita, loro inchiodano e si guardano attorno. Nessuno ovviamente si ferma per far passare i pedoni, ma non lo fanno nemmeno a Cantù: mal comune, mezzo gaudio.

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