Grazie al prestito interbibliotecario, in queste sere mi diletto con la lettura dei
Racconti della scrittrice Caterina Percoto. Una lettura certo piacevole, ma è soprattutto il libro in quanto oggetto fisico che mi ha colpito.
Essenzialmente io sono un bibliofilo. L'amore per lo studio è nato insieme all'amore per i libri, quelli di carta, polverosi. Ho iniziato a collezionare i classici latini: soprattutto quelli in edizione Zanichelli, ma anche qualche volume della prestigiosa collana Utet con rilegatura in tela blu. Poi sono passato alla letteratura italiana: ho i quattro volumi della letteratura del Duecento a cura di Gianfranco Contini, ad esempio.
Quando ho preso la decisione di dedicarmi alla matematica, è stato naturale collezionare libri di matematica. Ne ho scaffali pieni, e mi sono stati utili durante gli studi universitari. Ormai i primi volumi sono entrati in casa mia vent'anni orsono, un bel pezzo di vita. L'avvento dei libri elettronici e soprattutto gli abbonamenti della mia università alle collane di alcuni editori internazionali, hanno frenato la mia bibliofilia matematica. Un po' mi dispiace, ma solo ieri ho scaricato legalmente dieci libri che mi sarebbero costati almeno cinquecento euro, una vera benedizione!
Quando ero un giovane studente liceale, mi vedevo nei panni del letterato, probabilmente del filologo, chiuso in uno studio zeppo di libri. Gli scaffali alti fino al soffitto, di legno scuro; un tavolo ingombro di carte; la lampada verde accesa e, perché no?, il fuoco nel camino. Per me questa era la figura dell'accademico, che occupa il suo tempo leggendo i testi classici e commentandoli.
Tecnicamente sono diventato, forse indebitamente, accademico; ma la realtà non è quella delle mie fantasie. In parte, sospetto, dipende dalla disciplina. Se ancora oggi, come testimonia il libro della Percoto, gli umanisti accumulano le edizioni storiche, le confrontano, vanno per biblioteche a consultare i fondi antichi, un matematico fa tutt'altro.
Il matematico accademico è più simile ad uno scrittore che ad un filologo. Certo, esiste la Storia della Matematica, ma nella comunità matematica gli storici hanno una nomea piuttosto spiacevole. Insomma, il matematico attivo è quello che dimostra nuovi teoremi, e non già quello che commenta i teoremi altrui. Ne consegue che la consultazione dei libri matematici diventa un'attività alquanto marginale, e per la maggior parte consultiamo articoli scientifici appena pubblicati in rivista. I libri sono l'approdo finale, la sistematizzazione di una teoria sviluppata per articoli su periodici specializzati.
Un altro punto di divergenza fra la collezione degli scritti dei grandi letterati e di quelli dei grandi matematici è che questi ultimi perdono rapidamente di utilità. Mentre un filologo o uno storico della letteratura traggono profitto dalla consultazione dei manoscritti di Caterina Percoto, un matematico contemporaneo resta piuttosto tiepido davanti ai manoscritti di Cauchy o di Lagrange. Perché, al di là del fascino suscitato dall'oggetto materiale, è difficile o impossibile far ricerca su questi testi: contengono errori logici, sono scritti in un linguaggio obsoleto, e soprattutto le idee sono state ampiamente superate dai contributi della comunità mondiale dei matematici.
Se l'elogio della campagna friulana in cui la Percoto ha trascorso l'esistenza resta originale, certi teoremi del 1870 sono ormai ovvietà che nemmeno meritano di essere insegnati agli studenti. E, se invece meritano, conviene studiarli su manuali più recenti.
Complessivamente devo però dire di essere contento: finalmente ho restituito la mia bibliofilia al ruolo di passione, separata dal lavoro. Ogni tanto mi concedo qualche capriccio, una raccolta di canzonieri medioevali, un testo di storia, una raccolta commentata di poesie. Non ne faccio l'oggetto del mio lavoro, e per questo ne godo maggiormente.
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