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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Musica e dintorni

Da piccolo non avevo alcuna particolare attrazione per la musica. Certo, cantavo le canzoni dei cartoni animati, e mia mamma diceva che ero stonato come una campana rotta, nonostante io mi sentissi un'ugola d'oro. Ma era una questione marginale.
Poi, alle scuole medie, ho dovuto imparare a leggere uno spartito e a suonare il flauto (dritto, o dolce), e mi divertivo come un matto. Amavo soprattutto le regole della sintassi musicale, mi affascinava il collegamento fra i suoni nelle mie orecchie e le piccole note sul pentagramma. Il mio professore di educazione musicale ha proposto ai miei genitori di farmi studiare uno strumento più serio, ad esempio il pianoforte.
Così ho iniziato a prendere lezioni dalla signora Gianna Verga Benvenuti, vedova del maestro napoletano Benvenuti. Era molto anziana e bloccata in casa da un'invalidità alle gambe, ma era brava e mi descriveva la tecnica musicale con il suo tipico accento veneto in cui la zeta si trasformava in una esse sibilante. E poi era diventata amica di mia mamma, le raccontava sempre che suo marito andava in giro con quelle cantanti di scarsa moralità, mentre lei proveniva da una famiglia benestante cattolica e molto rigida. Però ne parlava con rimpianto, forse perché dopo tanti anni si può volere bene anche senza essere più innamorati.

Comunque, le lezioni private sono andate avanti per alcuni anni. Mi fa un po' male ammetterlo, ma ormai ero diventato un pessimo allievo: avendo capito che gli studi liceali mi piacevano più di quelli musicali, e sapendo di non essere dotato di talento pianistico (sono anche sicuro di aver sbagliato strumento, ho poca coordinazione spaziale con le braccia e questo mi obbliga a guardare la tastiera per capire dove ho messo la mano destra e dove ho messo la mano sinistra; forse con uno strumento come il flauto traverso o il violino mi sarei trovato meglio), studiavo sempre meno. Non che non amassi più la musica, ma avevo fatto una scelta: non potevo e non volevo dedicare due ore al giorno all'esercizio sui tasti, sottraendole allo studio scolastico. La signora Benvenuti probabilmente lo capiva, e non me lo faceva pesare. E poi c'era la questione del mio carattere... passionale: imparavo a suonare velocemente i pezzi di cui mi innamoravo, mentre non c'era verso di farmi suonare i pezzi che mi lasciavano indifferente. Così lei mi incoraggiava a suonare per divertirmi, invece che per disciplina.
Inoltre c'era l'insormontabile problema della mia timidezza: sono sempre stato incapace di suonare il piano quando qualcuno mi voleva ascoltare. Aspettavo di essere in casa da solo per esercitarmi, e questa è stata la pietra tombale su ogni futura aspirazione. Quando suonavo, suonavo per me, e mi sembrava ovvio. Peccato che magari ai miei famigliari sembrasse quasi un affronto, con mugugni e musi lunghi.

Ho sempre amato Johann Sebastian Bach, ma non voglio sparare il pistolotto sulle relazioni fra Bach e la matematica. Se non l'avete fatto, leggetevi il classico tomo di Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante. La realtà è che di Bach amo l'apparente assenza di trasporto emotivo. Prendete per esempio il celeberrimo concerto BWV 1065 per quattro clavicembali:
Guardate i quattro clavicembalisti: si divertono, sorridono, ma la musica non è emotiva. Non stanno suonando quelle smancerie di Chopin, che ti fanno pensare a gente infelice che si strugge e si taglia le vene. Quella di Bach (lo so che questo pezzo è di Vivaldi, ma basta cambiare esempio) è musica fredda e calda allo stesso tempo: musica cerebrale, quasi scritta seguendo un filo logico e numerico.

E poi amo, in generale, la musica barocca. Uno dei miei pezzi preferiti è di Jean-Philippe Rameau. Eccone una bella interpretazione pianistica, che la straordinaria Natache Kudritskaya trasforma quasi in un pazzo contemporaneo sull'ultima variazione:
Se invece siete puristi, ecco una versione più filologicamente corretta al clavicambalo:
Oppure sentite l'elegante ostinazione di questa sonata di Domenico Scarlatti:

Dopo la morte della mia insegnante di piano, all'inizio degli anni Novanta, mi sono avvicinato alla musica cosiddetta leggera: Prima Louis Armstrong, poi Paul Simon e Art Garfunkel, Fabrizio De André, e recentemente Billy Joel. Lo ammetto, sono sempre un po' nostalgico nelle mie scelte, ma ormai non cambio più. D'altronde, Billy Joel è un pianista notevole, come dimostra questo video:




Dopo un periodo di indifferenza (e quasi di fastidio), negli ultimi tempi ho riscoperto il piacere di ascoltare musica mentre correggo gli esami o mentre mi riposo. Mai mentre faccio ricerca o mentre leggo un libro, perché il mio sistema nervoso non sembra capace di sopportare due input diversi contemporaneamente. Ho accettato il fatto che la musica è un piacere e non un lavoro massacrante che ti infiamma i tendini delle dita, e credo di aver raggiunto un rapporto sereno con i miei ricordi di ragazzino che non riusciva a suonare gli spartiti troppo difficili.

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